Le imprese italiane pagano la debolezza del governo italiano che non ha influenza per contrattare dazi, eccezioni fiscali o investimenti in difesa. Mentre i colossi americani eludono le regole e consolidano la loro influenza
I dazi al trenta per cento, uniti alla svalutazione del dollaro – che pesa per un altro 13,5 per cento – rappresentano un colpo letale per le nostre imprese. Di fronte a questo scenario, il governo Giorgia Meloni continua a mantenere un approccio remissivo. I suoi alleati, che avevano salutato con giubilo la vittoria di Donald Trump, oggi sostengono che il vero problema non sono i dazi, ma le regole europee. Glielo vadano a dire agli imprenditori dell’agroalimentare, del farmaceutico, della meccanica che esportano oltre oceano: una perdita stimata tra i quindici e i trentacinque miliardi di euro, centosettantottomila i posti di lavoro a rischio.
A rendere ancora più evidente la direzione sbagliata intrapresa dal governo italiano è la vicenda della Global Minimum Tax. Al G7, l’Italia ha accettato un accordo che di fatto esenta le Big Tech americane da quella che avrebbe dovuto essere una rivoluzione in materia di equità fiscale. Mentre le piccole e medie imprese italiane continuano a sostenere il peso di una pressione fiscale che ha toccato numeri record, i colossi digitali americani – che generano miliardi di euro di ricavi anche sul nostro mercato – continueranno a eludere il fisco grazie a un’eccezione che svuota di senso l’intero impianto dell’accordo Ocse. Questo non è solo un problema di gettito, ma di concorrenza sleale, e giustizia sociale.
Intanto, il Senato ha approvato la legge sull’economia dello spazio, che appalta ai colossi stranieri – come la SpaceX di Elon Musk – parte della gestione della nostra sicurezza nazionale. Un altro regalo, un altro tentativo di accomodamento ai nuovi potenti americani, con buona pace, dei progetti per lo sviluppo di un sistema satellitare europeo, in cui l’Italia è in prima fila per soggetti coinvolti e che garantirebbe maggiore sicurezza e opportunità economiche per le nostre imprese.
Come si capisce, allora, il problema non è solo economico, ma di progressiva sottrazione della sovranità nazionale ed europea. Giorgia Meloni ha accettato senza contropartite la richiesta americana di aumentare le spese militari, senza nemmeno aprire una discussione seria sull’urgenza di avviare il percorso verso la difesa europea.
Aumentare le risorse militari, continuando a frammentare le spese in ventisette eserciti nazionali, non rappresenta solo un oggettivo sperpero economico ma soprattutto una debolezza strategica. Possiamo ancora pensare che l’Europa possa davvero essere un attore geopolitico credibile se non diventa anche una potenza militare?
Proprio in questo passaggio storico, l’Europa non può prescindere dall’avvio di un percorso che ci porti nel medio periodo a una vera difesa comune, perché non esiste sovranità monetaria, economica o politica senza sicurezza condivisa. Solo una forza militare europea potrà garantire una deterrenza reale, affiancando e rafforzando la Nato e rendendo il pilastro europeo dell’Alleanza più coeso, efficace e sovrano.
Parallelamente occorre difendere il nostro sistema economico dagli improvvisi shock delle tensioni globali. Come indicato dal rapporto di Mario Draghi, il modello del tanto export e dei salari bassi non è più sostenibile. Va rafforzato il mercato interno all’Unione attraverso una forte politica per i salari e per la capacità di spesa del ceto medio.
Se trent’anni fa siamo riusciti ad avviare il percorso verso l’euro per unificare le nostre economie, oggi dobbiamo avere il coraggio di avviare lo stesso percorso per unificare la nostra sicurezza. Non per militarizzare l’Unione, ma per difendere ciò che siamo: un continente libero, democratico e aperto. Perché, in fondo, la difesa dell’Europa è la difesa dell’idea stessa di Europa.
Detto questo, anche la Commissione europea ha le sue responsabilità. La gestione della Commissione von der Leyen si sta rivelando troppo debole e timorosa. L’Europa deve smettere di farsi dettare l’agenda sulle grandi questioni strategiche, e iniziare a costruirne una propria. Una politica estera autonoma, una strategia industriale integrata, una difesa comune realmente funzionante: questi sono i pilastri di una sovranità europea credibile, utile anche per aumentare il nostro potere negoziale con gli Stati Uniti.
L’Europa ha gli strumenti per affermare la propria autonomia: la forza economica non manca, né le competenze. Ciò che serve è la volontà politica. L’Italia, e con essa l’Europa, non può permettersi di aspettare concessioni dagli Stati Uniti né di affidarsi alla benevolenza di Donald Trump, che ha già dimostrato di approfittare di ogni segnale di debolezza. Se vogliamo trattare da pari a pari, dobbiamo essere credibili. E la credibilità si costruisce con l’autonomia e con la tutela della nostra sovranità, non con comunicati remissivi o di invito alla cautela.