Sono momenti che stiamo vivendo con il fiato sospeso perché, ancora una volta, la speranza sembra sia appesa a un filo che qualcuno vuole rompere e l’equilibrio è estremamente precario.
Abbiamo visto la gioia negli occhi delle famiglie palestinesi e di quelle degli ostaggi israeliani. Le piazze che esplodono. Persone che questa guerra e le scelte di chi le governa le hanno subite per più di un anno vedendo morte e distruzione, vivendo paura e perdita di ogni cosa.
Lo abbiamo
chiesto a gran voce in questo anno guardando anche noi ogni giorno immagini sempre più crudeli e incomprensibili e sentendoci totalmente impotenti di fronte alla morte e alla sofferenza.
Lo abbiamo richiesto per un anno, tre mesi e otto giorni e tutte le volte che vedevamo le immagini della morte, delle persone ferite, delle bambine e dei bambini mutilati, dell’orrore, della sofferenza, degli ostaggi e della paura delle loro famiglie, della fame e dei bambini morire di freddo in mondovisione.
Una guerra, che oggi su La Stampa Elena Loewenthal definisce la più crudele della nostra storia, arrivata nelle nostre case grazie all’abnegazione delle giornaliste e dei giornalisti che hanno sfidato la morte e visto morire più di 200 loro colleghe e colleghi.
Abbiamo visto il brutale attacco del 7 ottobre e poi la distruzione senza precedenti a Gaza, delle case, delle scuole, degli ospedali.
Abbiamo visto tendopoli in fiamme con le persone morte nel fuoco.
E mentre vedevamo tutto questo, abbiamo continuato a parlare di cessate il fuoco.
Oggi speriamo di poterci commuovere con la commozione delle persone di Gaza e di Isaele e sperare che questa tregua sia davvero duratura e volta alla costruzione della pace.
Ora più che mai, è il momento della politica. Stare accanto alle popolazioni per la pace, la ricostruzione e dar loro una prospettiva che vorremmo davvero fosse quella dei due popoli e due stati, anche se ora ci appare più lontana e impossibile.