La Siria appartiene ai siriani. I siriani sono un popolo unico.” Questo slogan risuona con forza nelle strade del paese, unite in questi giorni di celebrazione per la Liberazione dalla dittatura che ha oppresso la Siria per oltre mezzo secolo. Un popolo da sempre multietnico, multiculturale e multireligioso, composto da musulmani, cristiani, sunniti, sciiti, drusi, cattolici, ortodossi, maroniti; da arabi, curdi, armeni, turcomanni e altre etnie, ora si riunisce in un momento di rinascita e speranza.
Al di là di ogni comprensibile dubbio sul futuro, è evidente un dato incontrovertibile: la Siria si è liberata dal giogo della dittatura, dalla corruzione, dalla paura e da un sistema statale permeato di nepotismo e pratiche paramafiose. Domenica scorsa sono stati liberati migliaia di prigionieri politici, detenuti per anni in carceri dove regnavano la tortura e la morte.
Soprattutto, il paese sembra essersi sottratto alla più grave minaccia di una nuova e sanguinaria guerra civile. Tuttavia, il crollo repentino dell’esercito siriano solleva alcune domande legittime: quali sono state le reali cause e i protagonisti politici di questa vittoria? E, soprattutto, quale saràà il futuro della Siria? C’è il timore che la liberazione possa aprire la strada a nuovi regimi autoritari o a derive estremiste. Il leader dei combattenti, Ahmed al-Sharaa, noto come al-Jolani, sarà capace di guidare il paese verso una transizione democratica e partecipata? Questi interrogativi meritano una risposta e una attenta riflessione. Le recenti giornate hanno mostrato segnali incoraggianti. La popolazione siriana sembra condividere un sentimento chiaro: “Qualunque futuro è meglio della dittatura di Assad”. Dopo decenni di privazioni, morali e pratiche – democrazia, elettricitàà, acqua, lavoro, speranze – e una guerra che ha dimezzato la popolazione da 23 a 12 milioni, il desiderio di tornare a casa, di libertàà e dignitàà prevale su ogni paura. Ora è il momento dell’unità nazionale, concentrando ogni sforzo nella scrittura di una nuova Costituzione e nella costruzione di una nuova Siria, unica, unita e libera dalle divisioni etniche e religiose, di un paese giusto, nel quale i cittadini e le cittadine abbiano diritto ad una vita serena e dignitosa, e nel quale possano contribuire realmente a migliorare il proprio paese.
Dall’inizio delle rivolte nel 2011, l’opposizione siriana è stata inquinata per diversi anni dall’ideologia estremista ma, dopo il 2016, ha abitato e amministrato autonomamente la provincia di Idlib, rinchiusa e isolata dal mondo intero e quindi sostanzialmente fuori da ogni interesse del terrorismo internazionale, finanziata dalla sola Turchia dopo gli accordi di Astana. Nelle operazioni di liberazione degli scorsi giorni, monitorate attentamente, non sono emerse violenze o discriminazioni etniche o religiose, e soprattutto non è mai stato riproposto l’approccio e le regole di ingaggio dei jihadisti di Daesh. Persino i soldati del regime catturati o arresisi spontaneamente sono stati trattati con rispetto e hanno beneficiato di un’amnistia generale. In passato abbiamo assistito ad esecuzioni sommarie per puro spirito di vendetta. Un ulteriore esempio eloquente arriva da Aleppo, prima città liberata: qui, la comunitàà cristiana ha preso parte ai festeggiamenti senza temere rappresaglie. Lo slogan “La Siria e il popolo siriano è unico” è stato rilanciato sui social e dalle autoritàà religiose, che hanno ripetutamente smentito episodi di violenza contro la loro comunitàà. La transizione sta al momento procedendo con un approccio pragmatico e inclusivo.
Le istituzioni statali sono state preservate, mentre figure x regime, come ministri e diplomatici, sono state invitate a restare nel paese per contribuire alla costruzione di un nuovo percorso. Ai funzionari è stato richiesto di rimanere nei loro ruoli per garantire la continuitàà amministrativa. Questo atteggiamento di apertura e continuitàà riflette un chiaro obiettivo: costruire un paese unito, senza vendette, fondato sulla riconciliazione nazionale. Anche i gruppi armati, artefici della liberazione, sono stati chiamati a sciogliersi. La priorità che tutti continuano a ripetere è avviare un dialogo aperto con la società civile e redigere una nuova Costituzione che rappresenti le aspirazioni del popolo siriano.
Per questo motivo è stato immediatamente formato un governo di transizione, integrando anche diverse figure del vecchio apparato statale; questo equilibrio mira, nelle dichiarazioni ufficiali, a garantire una transizione ordinata verso una Siria democratica, unica e giusta. Il futuro della Siria resta incerto. Tuttavia, per la prima volta dopo oltre 50 anni, il popolo siriano ha la possibilità di decidere il proprio destino. In questo contesto la comunità internazionale ha il dovere morale di sostenere questa fase delicatissima. Le sanzioni economiche, che da anni soffocano il paese e si ripercuotono sulla vita quotidiana dei cittadini, devono essere rimosse per consentire una ripresa reale del sistema economico. Inoltre, i bombardamenti indiscriminati di Israele, che da due giorni si sono abbattuti sulla capitale e su altre città siriane, rappresentano crimini internazionali che minano la stabilità e favoriscono gli estremisti ancora latenti.
L’occupazione di ulteriori territori del Golan da parte dell’esercito israeliano deve cessare immediatamente, permettendo alla Siria di concentrarsi sulla ricostruzione del proprio tessuto politico, sociale ed economico, garantendo la sicurezza nazionale e quella dell’intera area mediorientale. Oggi, la Siria ha bisogno di solidarietà e di sostegno per trasformare in realtà il sogno di un futuro libero dalle ingiustizie e dalla tirannia. Dopo decenni di sofferenze e sacrifici, il popolo siriano merita finalmente una vita dignitosa e il diritto di ricostruire un paese migliore, per sé e per le generazioni future.