Registrati

Privacy

Informativa ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. La raccolta e il trattamento dei dati sono effettuati limitatamente ai fini connessi alla gestione operativa e amministrativa del servizio. I dati sono trattati con strumenti informatici e telematici e non saranno comunicati a terzi. Il titolare del trattamento è AreaDem.
* Acconsento al trattamento dei miei dati personali
Log in

 
Registrazione al sito - Login al sito

Corea: per avere assistenza non basta essere disabili, bisogna anche essere poveri

16 Maggio 2022

La disabilità è una delle cause principali di povertà e marginalità. Siamo lontanissimi dallo spirito della Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, ma ancora in larga parte inattuata. L’Onu, nei suoi periodici rapporti, sostiene che l’Italia non è un Paese a misura di disabile. Tra le ragioni: i fondi scarsi, il clima discriminatorio e le barriere architettoniche.

Da tempo, ormai, la normativa italiana in materia di invalidità civile, si dimostra inadeguata. Le pensioni di invalidità sono misere e non garantiscono dignitose condizioni di vita. Inoltre, situazioni diverse, ricevono un analogo trattamento economico, violando palesemente i principi costituzionali. Più precisamente, l’invalidità sopravvenuta dovuta all’anzianità, viene da sempre equiparata alla più complessa invalidità dalla nascita o dalla prima infanzia.

Un sistema nato per sostenere persone affette da gravi patologie, come le malattie neuromuscolari o altre gravi limitazioni fisiche e intellettive, è stato nel corso degli anni, snaturato ed utilizzato anche per affrontare il decadimento fisico connesso all’avanzare dell’età. La rilevanza sociale dei disabili gravissimi è tale da rendere necessario un intervento normativo al fine di realizzare i presupposti giuridici per garantire assistenza adeguata e realizzare sostanzialmente, e non solo formalmente, l'integrazione sociale, scolastica e lavorativa. Si fa esclusivo riferimento ai disabili dalla nascita o dalla prima infanzia, di età non superiore ai sessanta anni, riconosciuti non autosufficienti ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonchè a coloro che sono divenuti tali a seguito di grave sinistro o sopraggiunta malattia, non dovuta al decadimento fisico connesso all’anzianità e, comunque, di età non superiore ai sessanta anni. Tutti i benefici economici previsti dal nostro ordinamento a sostegno di queste persone, compresa la pensione d’invalidità, andrebbero concessi indipendentemente dal reddito personale o familiare e per il solo fatto di essere affetti e condizionati da gravissima disabilità, proprio come succede per l’attuale assegno di accompagnamento che – seppur misero – è elargito indipendentemente dall’Isee.

Anche la pensione di reversibilità, che spetta al figlio disabile superstite, inabile al lavoro, alla morte del genitore, allo stato attuale viene riconosciuta solo se il figlio disabile sia impossibilitato a svolgere attività lavorativa. Vero è che la legge 31/2008 (art. 46) ha introdotto proprio in tal senso un’eccezione: ovvero l’attività lavorativa svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali, o presso datori di lavoro che assumono persone disabili con convenzioni di integrazione lavorativa non preclude l’erogazione della pensione di reversibilità.

Tuttavia, il lavoro ha sempre una “funzione terapeutica” per qualunque essere umano, perchè permette di avere un ruolo nella società, di sviluppare la propria identità, di integrarsi e avere rispetto di se stessi. Pertanto, l’eccezione dovrebbe diventare la regola e, nel caso di disabili gravissimi, riconosciuti non autosufficienti, anche la pensione di reversibilità andrebbe riconosciuta indipendentemente dal reddito personale e dall’attività lavorativa esercitata, per il solo fatto di essere affetti e condizionati da gravissima disabilità. Attualmente, infatti, un disabile gravissimo che svolge attività lavorativa, può essere indotto a rinunciarvi pur di non perdere i requisiti allo stato previsti per godere della pensione di reversibilità, con evidenti conseguenze sul piano dell’integrazione sociale, generando marginalizzazione e isolamento. Riconoscere il beneficio della pensione di reversibilità ai disabili gravissimi a prescindere dall’inabilità lavorativa e dal reddito personale, è dunque indispensabile per garantire loro adeguata integrazione sociale e giusta assistenza.


Commenta... oppure


torna su

Agenda

DoLuMaMeGiVeSa
1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30

Rassegna stampa