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Mirabelli: dobbiamo dotarci degli strumenti per contrastare la mafia

17 Maggio 2022

Faccio sempre un po’ di fatica ad intervenire ai dibattiti dopo Nando Dalla Chiesa: ho imparato tante cose in questi anni dai suoi libri e dal suo lavoro. Dalla Chiesa ha detto che la ‘ndrangheta non è solo un’organizzazione criminale; non si può definire solo così. Noi ci abbiamo messo molti anni ad arrivare a dire, nella Seconda Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa Legislatura, che le mafie al Nord non sono solo infiltrate ma sono insediate profondamente in molte Regioni e in molti territori. Solo qualche anno fa non solo non era scontato dire che c’era la mafia anche al Nord ma era addirittura tema di dibattito. A volte succede ancora che amministratori e politici vivano l’idea della presenza delle mafie sui propri territori come un’offesa da respingere. Abbiamo fatto un dibattito a Lomazzo e questo tema era emerso: la diffusione dell’idea della presenza delle mafie veniva vissuta come una vergogna invece che generare reazioni per attrezzarsi per combatterle. A rafforzare questa affermazione, a me ha colpito, che dalla ricerca fatta da Dalla Chiesa per la Commissione Antimafia, emerge che la ‘ndrangheta non sia solo un’organizzazione criminale ma soprattutto un’organizzazione sociale. Questo è dato dal fatto che per molti degli affiliati lo scopo non è l’arricchimento. Dalla ricerca, infatti, emerge che gran parte dei capi delle locali ‘ndranghetiste fanno mestieri umili, come il gruista, il parrucchiere oppure mandano le mogli a fare i servizi.

Guardando a questo, si capisce che la ‘ndrangheta è qualcosa di più di un’organizzazione criminale come la immaginiamo noi, in cui i soggetti cercano solo di arricchirsi nell’illegalità. Questo è un salto di qualità che dobbiamo fare nelle nostre riflessioni, altrimenti non riusciamo a capire quanto sia importante la reazione della collettività e degli Enti Locali di fronte alle mafie. Se riduciamo la considerazione delle mafie ad un’organizzazione criminale, il pensiero è che per sconfiggerle siano sufficienti la magistratura e le forze dell’ordine. Le istituzioni milanesi, anche grazie al contributo di Nando Dalla Chiesa, fanno un grande lavoro di contrasto alle mafie. Il protocollo che ha impedito le infiltrazioni mafiose in Expo, che poi è diventato un modello da utilizzare in tutte le grandi opere del Paese, lo ha pensato e proposto Dalla Chiesa. Ciò che si sta facendo a Milano sulla qualificazione delle centrali appaltanti è frutto di un lavoro e di una scelta di priorità. Eppure, nonostante questo, anche Milano non è un’isola felice.

Noi, però, siamo attrezzati al contrasto delle mafie. Alessandra Dolci della Direzione Antimafia di Milano dice che c’è un pezzo di mondo dell’impresa e delle professioni che, soprattutto nei momenti di crisi, è disponibile a scendere a patti con le mafie e a costruire anche un meccanismo omertoso per consentire alle mafie di lavorare. C’è, quindi, molto da fare. Noi corriamo alcuni rischi. Il primo rischio è che contrastare le mafie richiede che si mettano in campo tutte le energie della società, non solo istituzionali. La ‘ndrangheta ha fatto una scelta che è quella di abbassare di molto le azioni eclatanti, di sparare meno possibile pur avendo le armi. Per la logica ‘ndranghetista, oggi una strage di grandi dimensioni sarebbe impensabile perché il punto è quello di non attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e di suscitare un basso allarme sociale. Per le mafie, quindi, va benissimo una società in cui si grida all’insicurezza delle città per scippi o altro, perché distoglie da altre questioni e consente loro di lavorare tranquillamente. Le mafie non vogliono essere percepite. Un basso allarme sociale, però, rischia di creare difficoltà anche alla politica. In questi anni ci siamo occupati spesso di temi che riguardano gli appalti e della legalità negli appalti. È chiaro che più si abbassa l’allarme sociale, più prende spazio quella politica che di fronte ai problemi veri, come il fatto che ci vuole molto tempo per realizzare le opere perché c’è molta burocrazia, chiede di togliere le interdittive antimafia, le certificazioni e i controlli, finendo per abbassare le barriere contro le mafie.

Ci siamo confrontati molte volte anche sul tema dei subappalti: ridurre i controlli diventa lo strumento con cui ci si illude di poter accelerare i lavori mentre in realtà, come insegna l’esperienza di Milano, la strada giusta sarebbe quella di avere pochi centrali appaltanti qualificate e che funzionano. Eppure fa gioco raccontare che le regole a tutela della legalità non servano e, per accelerare le opere, si possano togliere. Stiamo anche in una fase di crisi e qui le mafie trovano spazi. Quando ci sono crisi, come quella che abbiamo vissuto con la pandemia e adesso con la guerra, è chiaro che le mafie trovano spazi. Ci sono molte aziende che hanno dovuto dismettere pezzi di patrimonio, vendere edifici, vendere esercizi commerciali.

L’obiettivo principale delle mafie è riciclare il denaro che proviene dai traffici illeciti di droga, armi e persone e, in queste situazioni, trovano spazio per cui si propongono sempre di più come agenzie di servizi che possono dare finanziamenti, fare recupero crediti, favorire il cambio di destinazione d’uso dei terreni in alcune amministrazioni. Quando c’è una crisi, le mafie hanno più spazio. Quando l’economia ha meno liquidità, le mafie hanno più spazio. Questo aspetto viene spesso sottovalutato. In questi mesi, nella lotta al riciclaggio abbiamo fatto un lavoro importante rispetto alle banche dati per facilitare la comunicazione tra i sistemi, creare rapporti tra Comuni, Prefetture, Camere di Commercio per verificare i dati e avere segnalazioni delle anomalie. Questo, insieme ad una serie di misure che vanno sempre più rafforzate per obbligare le banche a verificare la provenienza dei soldi e per obbligare i notai a segnalare anomalie, serve a contrastare le attività di riciclaggio. La ‘ndrangheta è forse il soggetto più globalizzato che c’è: ha locali circa in 70 Paesi. Con la Commissione Parlamentare Antimafia abbiamo girato molto, siamo stati anche in Canada e negli Stati Uniti e abbiamo visto che più i Paesi tengono basso il controllo dei finanziamenti e più le mafie si inseriscono. Il Canada, fino a pochi anni fa, pur di attrarre capitali non metteva alcuna barriera.

Addirittura la Banca del Canada aveva una filiale alle Isole Cayman, che sono un paradiso fiscale, per cui si potevano depositare lì grosse somme di denaro, senza che vi fosse alcun controllo, e poi ritirarli in altre città senza problemi. Si sospetta che questo abbia provocato il fatto che la ricostruzione di tutta l’area del porto di Toronto, avvenuta nel 2008, nel pieno della crisi economica che aveva investito tutto il mondo e per cui nessuno costruiva più da nessuna parte, sia stata fatta perché lì sono arrivati capitali illegali anche da parte delle mafie. Un’altra cosa importante riguarda il fatto che finalmente l’Unione Europea e il Parlamento Europeo si sono attivati per creare una agenzia antiriciclaggio a livello europeo. Si tratta di una cosa importante. In Senato, abbiamo presentato una mozione per chiedere al Governo di attivarsi affinché la sede di questa agenzia venga realizzata in Italia, perché qui ci sono competenze, know how; c’è una legislazione che funziona da questo punto di vista.

Una volta Legambiente diceva che bisognava “pensare globalmente e agire localmente”, oggi possiamo notare che questo principio è stato assunto abbastanza dalla ‘ndrangheta. Ha senso, quindi, questa iniziativa in questo momento e dentro al percorso che porterà alle elezioni a breve perché la lotta alle mafie deve essere un tema prioritario per noi. Dobbiamo tenere acceso il faro sulla legalità e mettere in campo tutte le iniziative che gli Enti Locali possono fare per difendere la legalità, i propri Comuni, le risorse a disposizione e i propri cittadini e richiedono un’attenzione non formale e convinta, che mi pare di aver sentito da parte della candidata sindaca.


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