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Disabili: una vita indipendente e dignitosa è possibile solo con risorse adeguate - di Nicola Corea*

26 Luglio 2021


E’ il momento di mettere al centro delle politiche sociali anche il diritto fondamentale alla vita indipendente esteso a tutti i disabili, compresi quelli considerati gravissimi, come sancito dall’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

A tutte le persone con disabilità, anche a quelle che vengono definite gravi o gravissime, deve essere riconosciuto il diritto di scegliere dove vivere, con chi vivere e a partecipare alla vita sociale delle nostre comunità con la stessa libertà di scelta di tutti i cittadini. Anche se la scarsa occupazione lavorativa, allontana il raggiungimento dell’obiettivo di garantire ai disabili una vita indipendente.

E’ fondamentale sostenere efficacemente le pari opportunità e garantire l’assistenza personale predisponendo un vasto monitoraggio sui servizi di cui i disabili hanno bisogno nelle varie fasi della loro esistenza.

Già oggi sono presenti politiche che possono permettere ad alcune persone disabili di realizzare progetti di vita indipendente, ma un diritto o è per tutti o non è definibile come tale.

Le risorse sono messe a disposizione a livello statale o regionale, tuttavia, va detto, per completezza, che i progetti di vita indipendente rappresentano solo una piccola parte di tutto un sistema di servizi destinato ai disabili.

L’obiettivo della vita indipendente in Italia è in ritardo di decenni rispetto ad altri Paesi. La legge 162/98 ne introduce la possibilità, ma rimane largamente disattesa a livello regionale.

C’è ancora molto da fare. Infatti, la qualità della vita di queste persone è strettamente legata alla rete di relazioni per lo più familiari, ma quando muoiono i genitori o i parenti, esse si trovano scaraventate in un abisso di solitudine. La legge sul “dopo di noi” (Legge n. 112/2016), che prevede strumenti giuridici ed economici per pianificare il futuro delle persone disabili dopo la morte dei genitori, avrebbe dovuto affrontare il problema; ma secondo le stime dell’ISTAT su 127 mila potenziali beneficiari della legge, solo 6 mila persone ne hanno effettivamente usufruito.

Col Decreto Rilancio si è ulteriormente aumentato di 20 milioni di Euro il fondo destinato all’attuazione della legge.

Purtroppo, però, da tempo la normativa italiana in materia di invalidità civile, si dimostra inadeguata. Le pensioni di invalidità sono misere e non garantiscono dignitose condizioni di vita. Inoltre, situazioni diverse, ricevono un analogo trattamento economico, violando palesemente i principi costituzionali. Più precisamente, l’invalidità sopravvenuta dovuta all’anzianità, viene da sempre equiparata alla più complessa invalidità dalla nascita o dalla prima infanzia. Un sistema nato per sostenere persone affette da gravi patologie, come le malattie neuromuscolari o altre gravi limitazioni fisiche e intellettive, è stato nel corso degli anni, snaturato ed utilizzato anche per affrontare il decadimento fisico connesso all’avanzare dell’età.

Sono assoluti tabù, poi, la sessualità e le relazioni affettive. Sul punto siamo all’età della pietra.

Si asseconda una violazione quotidiana dello spirito e della lettera della Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, ancora in larga parte inattuata.

 

* Avvocato – Foro di Catanzaro

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