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Il Pd e il tema dell'identità politica - dal blog di Alberto Losacco sull'HuffPost

19 Maggio 2021



Il percorso tratteggiato dal segretario Letta con le Agorà democratiche sollecita una serie di riflessioni sulla partecipazione politica e sulla forma-partito. Sgomberando il campo da un luogo comune: non è vero che l’impegno pubblico degli italiani è tramontato. Semplicemente ha assunto forme diverse, dal volontariato alle istanze territoriali per la cura ambientale e il benessere sociale.

Il secondo punto è che, come ci ha spiegato Bauman con la nozione di società liquida, non esistono più appartenenze (abitative, lavorative, politiche, di reti sociali) che restano le stesse per tutta la vita. Pertanto anche la partecipazione va ripensata secondo modelli flessibili e non come la conseguenza di un’appartenenza ideologica.

Se ne discusse molto alla fondazione del Pd: come favorire, accanto alle forme classiche di militanza, l’adesione a specifiche questioni tematiche o istanze territoriali, in cui una serie di persone si incontravano attorno a uno specifico scopo, senza che questo implicasse un’adesione tout-court al Partito.

L’idea era che sarebbe stata proprio questa identità, costruita attorno a un fare condiviso e a un patrimonio minimo di valori, a fare del Pd il partito della vocazione maggioritaria, in grado cioè di raggiungere potenzialmente tutti gli italiani.

Sempre in quegli anni, cresceva l’importanza della Rete in politica: dalla candidatura di Obama, ai meet-up di Beppe Grillo, a Podemos in Spagna.
Sarebbe troppo lunga una valutazione sulle implicazioni che ha avuto la Rete nella vita politica.  

Possiamo però affermare che la Rete è stata straordinaria nella costruzione del consenso e nell’organizzare un certo tipo di mobilitazione. Poco però ha ancora espresso come strumento di intelligenza collettiva, anche se in altri campi non mancano esperienze virtuose.

Il caso più famoso è Wikipedia, ma si pensi anche ai percorsi deliberativi sulle opere pubbliche per favorire la condivisione delle scelte e innalzare la qualità complessiva delle decisioni. La scelta di puntare su questo modello da parte di Enrico Letta è prima di tutto una sfida culturale che andava assolutamente ingaggiata. Dobbiamo costruire un nostro specifico modo di abitare la Rete, senza rincorrere modelli comunicativi e organizzativi che non ci appartengono per stile e per cultura politica.

Tutto questo avrà valore, se rimarrà ben saldo il principio di una partecipazione che vuol dire relazione, che vuol dire stare assieme: la Rete, anche nelle sue performance migliori non potrà mai sostituire l’incontro tra le persone.

Da questo punto di vista, su come rigenerare un tessuto partecipativo plurale, radicato nella modernità e nei territori, ci sono intuizioni e esperienze che meritano di essere messe tutte sul tavolo: i percorsi generativi di cui parlava Guglielmo Minervini e il partito-palestra di Fabrizio Barca; i modelli partecipativi dell’associazionismo e del terzo settore; gli erogatori di servizi secondo il modello dei CAF e delle mutue studentesche.

Il punto vero è che i Circoli devono essere luoghi interessanti da abitare. Perché, prima di tutto, tornano a essere gli unici luoghi in cui si determina l’indirizzo politico. E la straordinaria risposta alla campagna d’ascolto lanciata dalla nuova segreteria ne è la riprova.

Posti in cui succedono cose per il miglioramento della comunità e ne diventano un punto di riferimento. Luoghi che, soprattutto i giovani, devono vivere come una chiave d’accesso per capire le cose del proprio Paese e del mondo.

Mettendo davvero a valore lo straordinario giacimento di risorse e competenze, di passione e impegno, che solo noi possiamo vantare nel panorama politico italiano. Perché con la mobilitazione non solo si vincono le elezioni. Ma si mettono in moto processi del cambiamento.

È questa la sfida che ci attende. Partendo dalle Agorà abbiamo il dovere di provarci fino in fondo.


Alberto LosaccoDeputato Pd, Presidente del Consiglio Giurisdizionale della Camera dei Deputati


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