Quello che sta succedendo al Senato sulla Legge Zan è sotto gli occhi di tutti. C’è un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati a larga maggioranza, perché lo avevano votato anche deputati di Forza Italia, ed è un provvedimento che punisce l’omotransfobia, i reati di odio rivolti verso i disabili, la misoginia e arricchisce la Legge Mancino di queste categorie. Non si tratta di introdurre un reato di opinione ma di colpire la violenza con un’aggravante seria quando viene motivata dalla discriminazione per le attitudini sessuali o il genere o la disabilità. Penso che sia una legge di civiltà. Non è vero ed è stato chiarito che non è una legge che punisce le opinioni ma non si può fare violenza sulle persone motivata dalle condizioni e dalle libere scelte che hanno fatto. La Lega sta facendo le barricate per impedirci di discutere. Salvini ogni due giorni spiega che le leggi divisive non devono essere discusse in Parlamento. Personalmente, penso che questa sia un’idea della democrazia parlamentare assolutamente stravagante e penso che le leggi si discutono in Parlamento sul merito e su quello ognuno fa le scelte e si assume le sue responsabilità. La Legge Zan non interviene sul programma di Governo: nasce dal Parlamento e credo che il Parlamento debba essere libero di discuterla e di votarla.
Certamente la Ministra Cartabia ha una sensibilità sui temi del carcere, sul riportare i circuiti penali nell’alveo della Costituzione, cioè valorizzandone la funzione di rieducazione e riabilitazione. La Ministra ha un’attenzione e una cultura molto significativa da questo punto di vista. Durante la pandemia siamo riusciti ad ottenere alcuni risultati, nonostante un clima politico complicato. Siamo riusciti a far passare alcuni principi, come la possibilità degli arresti domiciliari per chi ancora aveva da scontare 18 mesi; la possibilità per chi ha i permessi di lavoro e permessi esterni al carcere di restare fuori. Tutti questi provvedimenti sono ancora validi fino a fine giugno. Avevamo presentato altre proposte che riproporremo nei prossimi giorni perché il Consiglio d’Europa ha presentato un rapporto in cui la situazione delle carceri italiane appare molto problematica, con un indice di sovrappopolazione carceraria che è il più alto. Questo significa che vanno fatte delle scelte. Bisogna, ad esempio, investire sulle pene alternative e, quando faremo la riforma del processo penale, dovremo insistere per depenalizzare alcuni reati, trasformarli in contravvenzioni e per incentivare la giustizia riparativa. Penso che ci sia bisogno anche di strutture ma non per aumentare il numero delle celle, piuttosto, come previsto nel Recovery Plan, per allargare gli spazi di trattamento per la rieducazione, per la socialità e il lavoro all’interno delle carceri. Da subito vorremmo riprendere una proposta che abbiamo già fatto più volte in questi mesi sugli sconti di pena: per buona condotta, ogni detenuto può avere uno sconto di pena di 45 giorni per ogni sei mesi e abbiamo chiesto di aumentarlo a 60 giorni, così che molte persone possano uscire prima. Ovviamente, si tratta di persone che hanno dimostrato di meritarsi l’uscita e questo può essere uno strumento. Sulle misure riguardanti il carcere, inoltre, abbiamo fatto delle esperienze che forse non avremmo fatto in assenza della pandemia. Queste esperienze mostrano che il migliaio di detenuti che erano in permesso esterno per lavorare e prima della pandemia dovevano rientrare in carcere la sera mentre con le norme per l’emergenza hanno potuto restare fuori, sono comunque rimasti nel circuito penale e hanno continuato a lavorare e a comportarsi bene e nessuno è scappato. Anche su esperienze di questo tipo, quindi, dovremo riflettere di più perché forse anche questi provvedimenti presi in emergenza si possono rendere più strutturali.
Riguardo a un ragionamento su Milano, parto da una cosa che ha detto Beppe Sala nel momento in cui ha annunciato di ricandidarsi a sindaco. Penso che Sala abbia ragione quando dice che dobbiamo prepararci a vincere per costruire un’esperienza amministrativa che non sia soltanto la continuazione di quella in corso. In questi cinque anni l’amministrazione ha fatto molto bene, la città di è trasformata e, fino all’inizio della pandemia, il suo tasso di internazionalizzazione, le trasformazioni urbanistiche, gli interventi fatti per migliorare il trasporto pubblico locale, gli interventi fatti per migliorare l’ambiente e il verde urbano sono stati tutti interventi che hanno portato ad un’idea di città che funzionava, che era presa a modello e che era attrattiva, non solo per l’Italia ma per tutta Europa, non solo dal punto di vista degli affari e del lavoro ma anche dal punto di vista turistico, anche per la grande ricchezza culturale. La pandemia ha cambiato la situazione ed è evidente che oggi dobbiamo pensare a un’amministrazione che dovrà far ripartire la città, sapendo che il covid ha cambiato molte cose. La città dovrà cambiare, rigenerarsi, riqualificarsi, tenendo conto dei cambiamenti che il covid ha portato con sé. La cosa più importante che condiziona sempre di più la vita delle città è che cambia il lavoro. Credo, infatti, che lo smart working alla fine resterà un’opportunità per tante aziende. Questo vuol dire sapere che bisognerà governare una trasformazione per cui una parte degli uffici ad esempio del centro dovranno essere ripensati e trovare un’altra funzione, così come dovrà essere ripensata una parte importante dei servizi che sono nati attorno a quegli uffici ma tutto ciò va governato. Un’altra cosa che ci lascia la pandemia è un’attenzione alla salute e all’ambiente che deve spingerci a fare di più su questo fronte. Questo vuol dire trasporto pubblico sostenibile, la riforestazione di Milano, l’energia e la digitalizzazione: sono le cose per cui il Comune ha presentato dei progetti per chiedere di poter utilizzare le risorse del Recovery Fund.