Nel 2020 tante aziende e tante persone hanno capito la centralità del tema dello sviluppo sostenibile. Le aziende che già erano impegnate sull’efficientamento energetico e sull’economia circolare hanno scoperto la dimensione sociale della sostenibilità. Tante persone hanno compreso le connessioni tra ambiente, salute, economia e società, che Papa Francesco ha efficacemente illustrato con una singola frase: “Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo che è malato”. In tanti hanno scoperto la vulnerabilità della propria condizione, ma anche il significato della parola ‘resilienza’, cioè la capacità di reagire positivamente a uno shock. I principali fondi d’investimento hanno deciso di riorientare i propri portafogli a favore delle imprese più sostenibili, le quali sono anche più redditizie e resilienti. Tanti risparmiatori hanno scelto di fare altrettanto, privilegiando strumenti della cosiddetta ‘finanza ad impatto’, dai green bond ai social bond. Tanti consumatori hanno deciso di acquistare auto elettriche o ibride, penalizzando i produttori di auto tradizionali, o strumenti di ‘mobilità sostenibile’ come i monopattini o le biciclette.

Da un lato la crisi ha accelerato in maniera evidente e pervasiva processi già in atto e indispensabili per la sostenibilità dello sviluppo, ma dall’altro sta facendo malissimo a tante dimensioni dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, approvata dall’Onu nel 2015 e articolata nei 17 Obiettivi da conseguire entro i prossimi dieci anni: aumento della povertà, dell’esclusione sociale e delle disuguaglianze, in primo luogo di genere e tra giovani e anziani, caduta del reddito e dell’occupazione, distruzione di parte del tessuto imprenditoriale, riduzione dei fondi per la cooperazione internazionale, peggioramento dell’educazione e dell’alimentazione.


Guardando alle diverse aree del mondo, la risposta delle politiche alla pandemia e alla crisi socioeconomica è stata molto eterogenea, ma è emersa con grande chiarezza la scelta dell’Unione europea a favore dello sviluppo sostenibile, in tutte le sue dimensioni. Non si tratta di un caso, visto che, fin da luglio 2019, la Commissione von der Leyen aveva fatto dell’Agenda 2030 il riferimento delle sue politiche. Scelta rafforzata ad aprile 2020, quando si è deciso di orientare quello che è stato poi chiamato 
Next Generation EU a costruire un’Europa sostenibile, più resiliente e più giusta.


In questo quadro, il 2021 - che sarà ancora difficilissimo sul piano sociale, se non più difficile dell’anno che si chiude – potrebbe essere ricordato come l’anno della svolta dell’Italia verso la sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale (cioè i quattro pilastri dell’Agenda 2030) o della nostra incapacità di realizzare tale svolta.


Dipenderà dai contenuti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e dalla sua realizzazione; dalla coerenza delle politiche economiche, sociali e ambientali – caratteristica in cui anche l’appena approvata Legge di Bilancio non sembra eccellere – finanziate dal Next Generation EU (circa 209 miliardi), dagli altri fondi comunitari (circa 80 miliardi) e dai fondi pubblici ordinari, a partire dalla riconversione dei quasi 20 miliardi annui di sussidi statali dannosi per l’ambiente. Ma anche il mondo imprenditoriale è chiamato ad uno sforzo trasformativo analogo, che coniughi innovazione e valorizzazione delle persone, passando dall’economia dello scarto a un’economia circolare, capace di ridurre drasticamente l’impatto sull’ambiente e di creare nuove e buone occasioni lavorative.


E noi singoli cittadini-elettori, così come gli operatori dell’informazione, dovremo riuscire a tenere l’attenzione sulle questioni veramente rilevanti per il nostro presente e il nostro futuro. E prendiamo un impegno tutti insieme: smettiamo di parlare di Recovery fund, che non esiste, ma di Next Generation, per ricordarci ogni giorno del 2021 che in gioco non c’è qualche decimo di Pil, ma il futuro nostro e delle giovani generazioni. Sono solo due lettere in più: forse, se chiamassimo le cose con il loro nome sarebbe più facile anche scegliere come spendere centinaia di miliardi per cambiare in meglio il nostro Paese.

 

Enrico Giovannini è portavoce dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis).