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Mirabelli: allarme mafie. Gli affari della criminalità organizzata sull'epidemia

30 Aprile 2020


In questa fase delicata, non c’è soltanto il tema dell’aggressione alle imprese da parte delle mafie, che sfruttano la carenza di liquidità e si propongono come finanziatori, come è già avvenuto anche durante la crisi economica del 2008. In quell’occasione, la ‘ndrangheta è riuscita a penetrare nell’economia legale e poi l’ha condizionata in maniera molto significativa, offrendo anche servizi finanziari. Non credo nemmeno che ci sia solo la questione degli appalti: penso che le mafie, soprattutto nel Mezzogiorno, per aumentare il proprio consenso sociale, possano attrezzarsi per creare una sorta di welfare parallelo dove lo Stato non riesce a garantire sostegno alle famiglie e alle persone che perdono il reddito e che andranno ancora più in difficoltà nei prossimi mesi. A questo bisogna rispondere e la risposta dipende innanzitutto da noi, dal Governo e da come utilizzeremo le risorse che stiamo stanziando per la ripresa del Paese. Toglieremo spazi alle mafie se questi soldi riusciranno a garantire davvero il fatto che nessuno venga lasciato solo, che i redditi siano garantiti a tutte le famiglie in modo che siano nelle condizioni di non aver bisogno di un’altra assistenza; e se riusciremo - meglio di quanto si stia riuscendo adesso - a garantire liquidità alle imprese attraverso il sistema bancario e svolgendo il ruolo che lo Stato ha di garanzia sui crediti. Resta il fatto che questo comporta significativi movimenti finanziari. Rispetto ai possibili pericoli c’è anche una consapevolezza da parte della magistratura: chi si occupa di lotta alle mafie ci ha messo in allarme rispetto ai rischi che si corrono in una situazione come questa, che è un’emergenza assolutamente inedita e di una dimensione che non abbiamo mai conosciuto. In Senato abbiamo fatto un Question Time con il Ministro dell’Interno Lamorgese e ho avuto la percezione che non si stia solo lanciando l’allarme ma ci sia già anche qualche idea su come attrezzarsi. Nella risposta che il Ministro ha dato alla mia interrogazione, ho trovato molto interessante la segnalazione di due interventi che si stanno facendo: innanzitutto, l’indicazione di dare mandato a ogni Prefetto di costruire un tavolo che riunisca su questo tema, oltre alle forze dell’ordine e agli investigatori, anche tutte le associazioni imprenditoriali e del commercio e tutti coloro che possono segnalare quali possono essere i segnali di un’attenzione da parte della criminalità organizzata o i flussi finanziari anomali. Il coinvolgimento del mondo economico, oltre che quello che tradizionalmente si batte contro le mafie, è importante e, quindi, penso che la costruzione di questi tavoli sia utile. Il tema di un coinvolgimento largo e non la delega soltanto alle forze dell’ordine o alla magistratura in questa fase, infatti, diventa ancora più importante perché dà la possibilità di verificare se ci sono segnali sulle attività criminali. Un’altra questione, che non è ancora ben definita, è la decisione di investire 9 milioni di euro per attrezzare i soggetti che il Ministero dell’Interno deciderà per valutare attentamente chi avrà accesso alla liquidità che lo Stato metterà a disposizione. Dobbiamo, infatti, evitare che la criminalità organizzata si appropri della liquidità che lo Stato metterà a disposizione delle aziende. Dobbiamo sicuramente anche velocizzare gli investimenti e le opere, in quanto la lotta alla mafia non può essere vista o pensata come un ostacolo alla realizzazione delle opere e, quindi, alla ripresa economica. Oggi, però, penso che dobbiamo contrastare l’idea che meno regole e meno legalità equivalgano a opere più veloci perché, oltre a non essere vero, come dimostrano i risultati non ottenuti con la legge “Sblocca-cantieri”, ci sono molte cose da fare per velocizzare gli appalti senza deregolamentare. Nella risposta che il Ministro Lamorgese ha dato all’interrogazione che le ho rivolto si è detta d’accordo con questo e, quindi, va nella direzione opposta a quella che chiede Salvini, cioè di abolire il Codice Antimafia, il Codice degli Appalti e le norme a tutela dell’ambiente perché è ovvio che questo equivarrebbe ad una festa per le mafie e per chiunque voglia di nuovo depredare il Paese. Bisogna, quindi, mantenere le regole e trovare modalità per accedere agli appalti. La città di Milano, da questo punto di vista, può fare da esempio. A Milano gli appalti si fanno in fretta perché ci sono solo due centrali appaltanti, fatte da professionisti, una di queste si occupa dei servizi e l’altra delle costruzioni e questo sistema garantisce procedure che velocizzano gli appalti e può essere riprodotto a livello nazionale. Se, invece, pensiamo che il modello sia il Ponte di Genova, cioè la deregolamentazione di tutto, credo che rischiamo di non fare bene gli appalti e, soprattutto, di fare regali alla criminalità organizzata.

 

Credo che ci sia anche una questione più generale da affrontare: bisogna rafforzare i controlli sui finanziamenti, la provenienza del denaro, i flussi. Molti controlli vengono fatti e credo che dobbiamo farli sempre meglio perché questo consente di capire e di stroncare la possibilità per le mafie di riciclare grandi quantità di denaro in attività lecite. Questa, dunque, è una questione fondamentale. La pandemia non ha un confine italiano esattamente come le mafie: c’è un’internazionalizzazione delle mafie e, in particolare, della ‘ndrangheta, e anche dei flussi di finanziamento che si muovono da Paese a Paese. Collegata a questo c’è la questione inerente i paradisi fiscali e quei Paesi dove i controlli sui flussi finanziari sono scarsi. Per intervenire su questo fronte non è sufficiente l’azione del Governo, quindi, serve l’Europa e servono degli strumenti che si mettono in campo per contrastare le mafie a partire dall’aggressione ai flussi finanziari che sottendono al riciclaggio. Far emergere qualunque cosa che oggi sia sommersa aiuta la lotta alla mafia. Lasciare nel sommerso il lavoro nero dei campi o l’immigrazione clandestina che viene sfruttata nei campi, quindi, aiuta le mafie e, dunque, sarebbe bene sanare queste situazioni, anche in funzione di una domanda di lavoro che c’è e che, se non viene risolta legalmente, rischia di essere risolta con il protagonismo delle mafie. Infine, dovremo fare molta attenzione alla Sanità, che è un settore dove ormai è acclarata l’attenzione delle mafie, non solo per questioni economiche ma anche per avere prestigio sociale e consenso. Ora arriveranno le risorse per riorganizzare la Sanità in funziona del coronavirus e anche su questo dovremo fare molta attenzione a impedire che si creino spazi per la criminalità organizzata e per le aziende che le mafie hanno interesse a portare avanti.

 

La questione della scarcerazione dei boss, di cui abbiamo letto molto sui giornali nei giorni scorsi, è un problema serio. Nessuno mette in discussione il principio della tutela della salute dei detenuti, compresi quelli che si trovano in un regime di 41bis, e nessuno può mettere in discussione la legittimità e l’autonomia della magistratura di sorveglianza nel fare le scelte ma è evidente che, di fronte al coronavirus, non c’è stato alcun provvedimento da parte del Governo che possa in qualche modo giustificare quello che sta succedendo. Abbiamo fatto un provvedimento per ridurre la popolazione carceraria, che è in sovrannumero, nel momento in cui l’epidemia rischiava di trasferirsi nelle carceri (dove la distanza fisica è difficilissima da mantenere) ma le norme che prevedono di mettere agli arresti domiciliari con il controllo dal braccialetto elettronico le persone a cui mancano da scontare 18 mesi, escludeva esplicitamente tutti i reati di mafia. Eppure, in questa fase, molti avvocati di detenuti al 41 bis hanno fatto richiesta di arresti domiciliari per i loro assistiti per motivi di salute e molti magistrati di sorveglianza hanno deciso di concederli, anche per boss di una certa caratura. La questione è esplosa con il boss Bonura che è forse il caso meno grave in quanto è una persona di 78 anni, malato di tumore e a cui mancavano 10 mesi da scontare, mentre altri casi avevano meno senso. È evidente, quindi, che qualcosa non ha funzionato. Penso che su questi episodi ci siano responsabilità molto grandi del DAP, innanzitutto perché con una circolare emanata a marzo, con una formulazione ambigua, sembrava che il tema della salute dovesse costituire motivo per uscire dal carcere a prescindere dai reati commessi e, in secondo luogo, perché alcune vicende specifiche sono state gestite male. Il DAP deve organizzare le pene e, anche di fronte ad una richiesta di una persona di caratura criminale di essere curato, deve saper proporre una soluzione diversa dagli arresti domiciliari che garantisca che non si ricreino collegamenti criminali. In questi giorni abbiamo predisposto un decreto importante per la giustizia che interverrà su questa questione e in cui si dice che per i detenuti al 41 bis o quelli con gli arresti ad alta sicurezza (S3), dove ci sia una per i permessi o per gli arresti domiciliari, il magistrato di sorveglianza deve informare e raccogliere il parere della Direzione Nazionale Antimafia o del Procuratore del luogo in cui il detenuto è stato condannato. La ratio di questa misura non è quella di mettere sotto controllo la magistratura di sorveglianza ma di applicare una legge che c’è già. L’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario al comma 3 dice, infatti, che la Direzione Nazionale Antimafia deve verificare se - di fronte ad un’istanza di permesso o di detenzione domiciliare - permangono collegamenti con le organizzazioni criminali e, in questo caso, è la Direzione Nazionale Antimafia che decide di non concedere il permesso o gli arresti domiciliari. Le Procure del luogo in cui il detenuto è stato condannato, invece, hanno sempre il compito di monitorare quei criminali e quei reati. Rendendo, quindi, obbligatorio per legge il parere della Direzione Nazionale Antimafia, mettiamo quell’organismo nelle condizioni di essere avvertito ogni volta che c’è un’istanza di scarcerazione e, quindi, di poter esercitare questa facoltà che la legge già gli riconosce. Penso che questa sia una cosa utile, che non mette in discussione l’autonomia dei magistrati di sorveglianza e garantisce e meglio che non si commettano errori. Quello che è successo in questi giorni è molto grave ma non penso che ci sia stato uno scambio con i boss per far fermare le rivolte nelle carceri. Non penso nemmeno che ci sia un disegno organico o che ci siano magistrati di sorveglianza disponibili a scambi di questo tipo. Sicuramente, però, le cose non hanno funzionato e c’è stata una sottovalutazione del problema. Con il nuovo provvedimento che abbiamo preso riusciremo a evitare che si ripetano vicende come queste, facendo in modo che ci sia l’intervento della Direzione Nazionale Antimafia. È, però, evidente che chi ha diretto il DAP in questi mesi, a partire dalla vicenda delle sommosse in carcere fino alle ultime scarcerazioni, non è stato in grado di farlo. Questo ragionamento vale sia per il direttore del DAP sia per chi in questi mesi ha diretto, di fresca nomina, il settore che si occupa del 41bis e degli interventi sulla detenzione. In Commissione Antimafia ascolteremo sia il Direttore del DAP che il dirigente responsabile e sulla base di questo faremo una valutazione. Mi pare che il Ministro della Giustizia abbia già dato un segnale importante chiedendo al CSM di autorizzare Roberto Tartaglia, che è un magistrato che si è occupato molto di mafia ed è un collaboratore della Commissione Antimafia, di diventare Vicedirettore del DAP e questo dovrebbe essere a garanzia di una maggior attenzione a come anche il DAP si muove e gestisce i detenuti con un’alta pericolosità e una provenienza mafiosa. Penso anche, però, che siano troppe le persone che si trovano al 41 bis: ci sono anche altri regimi di sicurezza. Il 41 bis era uno strumento fatto per impedire che i boss potessero comunicare con l’esterno. Pensare che in Italia ci siano 850 boss mi sembra troppo e anche il modo in cui viene gestito il 41 bis fin dall’inizio forse è una cosa su cui bisogna fare una riflessione, così come mettere Cutolo o Zagaria sullo stesso piano di Bonura, che non aveva neanche la condanna all’ergastolo, è anomalo.

 

Per contrastare l’usura e per contrastare l’insediamento della criminalità organizzata nell’economia legale attraverso il riciclaggio del denaro, abbiamo bisogno che quei 400 miliardi di liquidità garantiti dallo Stato arrivino al più presto possibile, con meno burocrazia. Questa vicenda non è iniziata bene ma fortunatamente il Decreto Liquidità è ancora all’attenzione del Parlamento e avremo tempo di metterci mano perché va affrontato il tema di come costringere le banche, una volta che c’è una garanzia statale, a dare i soldi al più presto. Non c’è, infatti, solo il problema di quanti soldi riusciamo a garantire ma anche la tempistica in cui riusciamo a garantirli. In questa differenza dei tempi può infiltrarsi la criminalità organizzata. Un’altra questione si pone quando una persona assurge a livelli importanti avendo rapporti con la criminalità organizzata infiltrata dentro l’economia legale. Questo mette in luce il fatto di aver fallito sulla prevenzione. Bisogna avere, infatti, la capacità di capire quali sono i radicamenti, i reati spia, i collegamenti. La magistratura italiana da questo punto di vista funziona e ha dato grande prova di sé: in questi anni, a Milano, di colletti bianchi ne sono stati condannati tanti e molte inchieste hanno smontato il radicamento della criminalità organizzata nell’economia legale. La scommessa è vedere se riusciamo a creare barriere per impedire che queste cose succedano e questo si lega al fatto che dobbiamo ridurre la possibilità della criminalità organizzata di inserirsi dove lo Stato arriva tardi o non arriva. Occorre, quindi, che le misure messe in campo dal Governo diventino concrete in fretta. Ci siamo riusciti bene sui 600 euro per gli autonomi, a breve riusciremo a sistemare la questione della cassa integrazione ma resta il tema della liquidità alle aziende su cui ancora bisogna lavorare per velocizzare il tutto.

 

Rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose nella politica e nelle candidature, il codice di autoregolamentazione che ha fatto la Commissione Parlamentare Antimafia è un buon punto di partenza e un buon punto di riferimento, in quanto parte dall’idea che bisogna evitare che vengano candidate persone che hanno commesso reati o sono rinviate a giudizio per reati contro il patrimonio o di corruzione e reati che portano a ipotizzare un rapporto con la criminalità organizzata. Come PD, da questo punto di vista, abbiamo fatto una scelta importante, introducendo nel nuovo Statuto il fatto che i candidati del Partito Democratico devono rispettare il codice di autoregolamentazione e, prima della presentazione ufficiale delle liste, va fatta una verifica. L’ambizione è quella di riuscire a presentare pubblicamente le liste prima della presentazione ufficiale in modo da poter raccogliere anche eventuali perplessità prima di arrivare al tribunale a depositare la lista. Inoltre, dobbiamo conoscere i candidati. Conoscere e assumersi la responsabilità della selezione dei candidati è un tema importante e deve responsabilizzare tutti. Non basta il codice di autoregolamentazione perché la legalità non è una cosa automatica: c’è bisogno di conoscere le persone e di evitare errori che si sono fatti nel passato. Su queste vicende è in campo anche uno scontro politico vero che non riguarda solo l’antimafia. Dentro la vicenda della ripartenza, infatti, ci sono due opzioni: una è quella che chiede condono fiscale, abolizione del Codice Antimafia, abolizione del Codice degli Appalti, abolizione dei vincoli ambientali; è l’idea che si risponde alla crisi togliendo tutte le regole di garanzia rispetto alla legalità, rispetto alla giustizia sociale garantita dal pagamento delle tasse, rispetto all’ambiente. Un’altra opzione è quella che credo che dobbiamo interpretare e corrisponde all’idea per cui si possono fare le cose più in fretta ma anche meglio rispettando le regole, anzi, proprio perché si rispettano le regole. Penso che nei prossimi mesi su questo discuteremo molto perché il tema attraverserà molte delle questioni che avremo di fronte, a partire dalle infrastrutture fino a tutto il resto.


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