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Coronavirus, David Sassoli: Servono soluzioni e fondi europei. Ma è inutile rinunciare a Schengen - intervista de La Stampa

25 Febbraio 2020

Il presidente dell’Europarlamento: c’è la volontà di rafforzare il collegamento operativo tra tutti i Paesi


«È una emergenza che si supera con la scienza, non con gli stregoni», dice sicuro David Sassoli. «E con l’Europa», aggiunge naturalmente, persuaso che il virus sia «un caso di scuola, come l’immigrazione». Perché, assicura il presidente del Parlamento a dodici stelle, «non c’è Paese che possa affrontare da solo le sfide che hanno un riflesso globale, come terrorismo, migrazioni, sanità, energia, industria, ricerca, ambiente e economia. Sono tutte questioni che richiedono risposte europee».

Risposte che stanno arrivando, sottolinea Sassoli, una lunga carriera da giornalista, eurodeputato Pd alla terza legislatura, numero uno dell’assemblea comunitaria da giugno. «Sta partendo un importante stanziamento di fondi e c’è la volontà di rafforzare il collegamento operativo tra tutti i Paesi», riassume nel giorno della mancata visita a Torino, causa virus, ovviamente. La città è chiusa. Per sicurezza sono saltati gli eventi pubblici. Anche quelli europei.

Preoccupato?
«Siamo consapevoli che si tratta di una questione seria, di un evento che può avere un impatto imprevedibile. Non bisogna creare allarmismi, ma dotarsi di strumenti di contrasto. Il diffondersi del virus poi, chiama in causa l’Europa e la sua capacità di essere protagonista nella ricerca. Per far questo servirà investire molto di più».

La Sanità non è una delle competenze affidate all’Unione dai fondatori. In teoria, una possibile epidemia non è affar suo.
«Lo diventa se lo chiedono gli Stati. Se - come capitato in passato per altre emergenze - i governi invitano l’Ue a occuparsi delle sfide globali. Il fatto che la Sanità sia una politica nazionale, non vuol dire certo rinunciare a una giusta solidarietà».

In che modo?

«Lavorando su misure comuni, standard omogenei, protocolli condivisi, ad esempio sulla mobilità e sui trasporti. E investendo risorse adeguate per il benessere di tutti».

Bisogna fare squadra in ogni caso, è il senso?
«Non c’è dubbio. Il coronavirus dimostra che alle sfide globali si può rispondere solo con politiche europee».

Non tutti sembrano pensarla in questo modo. C’è chi dubita del paradigma della libera circolazione prevista dall’accordo di Schengen.
«Non ha senso. Ciò che conta è che l’Europa abbia capacità di coordinamento delle misure comuni. E la forza per intervenire qualora ve ne sia la necessità, come indicato dai commissari europei Lenarcic e Kyriakides».

C’è chi vuole ripristinare i controlli alle frontiere.
«È una sciocchezza. Al confine si può arrestare un terrorista, ma non un virus».

Il governo a Roma è stato accusato di non essere all’altezza nella vigilanza.
«L’Italia è un esempio. Da subito ha messo in campo ogni risorsa per circoscrivere il morbo e lo ha fatto nel modo appropriato, affidandosi alle sue capacità e alle indicazioni della comunità scientifica. Il modello pubblico italiano è qualificato e trasparente. E questo è molto apprezzato. Sarà interessante, semmai, verificare un domani quale sia stato il valore aggiunto della sanità privata nella gestione della crisi, visto che il settore drena molte risorse pubbliche».

Intanto il virus in Italia è diventato una scusa per l’opposizione per attaccare la maggioranza.
«Sarebbe buona norma prima di parlare di queste cose di contare fino a tre».

Come sui migranti, l’Europa si gioca la credibilità sul virus. Se non andrà bene, saranno tutti voti euroscettici.
«Non credo. Semmai la credibilità se la giocano gli Stati, più che l’Unione. Se non sono disponibili a trasferire i loro poteri, come potrà l’Ue rispondere alle loro difficoltà e alle loro paure? I cittadini ormai lo hanno capito».

Molti governi che la pensano altrimenti. Guardi com’è andata sul bilancio...
«Da parte di alcuni continua ad esservi un alto tasso di irresponsabilità».

Come si manifesta?
«Lo si vede nel finanziamento non adeguato delle politiche con cui l’Europa può migliorare la vita dei cittadini».

Chi è più egoista? Il ricco che non vuole pagare per gli altri o il povero che chiede di più?
«Sono egoisti tutti coloro che si oppongono a finanziare adeguatamente le politiche europee. I programmi tradizionali, come la coesione, la politica agricola, la ricerca che è di grande attualità. E i nuovi programmi del Green Deal. Abbiamo bisogno di risorse. Alcuni non capiscono che finanziando l’Ue si finanza la loro stessa capacità di crescere, di svilupparsi e di essere competitivi. In media, 500 euro di un cittadino dati all’Unione vengono moltiplicati e a fine anno diventano 12 mila. Nessuno investimento è così vantaggioso».

Nonostante questo, il vertice Ue sulle prospettive finanziarie è andato male.
«La discussione fra i capi di Stato e di governo al consiglio è mirata a fare una proposta al Parlamento che, sia chiaro, non voterà una proposta qualsiasi. C’è una larghissima maggioranza pronta a rifiutare un testo insoddisfacente».

Lo farete davvero?
«Molti non hanno ancora capito la natura e l’orgoglio di questo Parlamento. Che si è già manifestato nella formazione della nuova Commissione, bocciando per la prima volta ben tre commissari. Invito tutti a fare attenzione e a prendere sul serio il Parlamento. Anche perché sul bilancio c’è bisogno della maggioranza assoluta».

Il coronavirus ci distrae da altre priorità?
«Per il momento no. Ma siamo in presenza di un allerta da non sottovalutare e alla quale non c’è bisogno di aggiungere sensazionalismo e panico. Il nostro sistema di controllo e assistenza è ben costruito con l’ausilio della comunità scientifica». 



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