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Dopo Bologna il Pd non si sposta a sinistra. L'orizzonte è più ampio - dal blog di Marina Sereni sull'HuffPost

19 Novembre 2019

Intervento della Vice Ministra agli Affari Esteri



Tre giorni densi, impossibili da sintetizzare in poche righe. Però qualche considerazione si può tentare. 

Se, come credo, l’obiettivo di Nicola Zingaretti e del gruppo dirigente del Pd era quello di aprire una stagione completamente nuova nella vita del nostro partito e porre le basi per un campo democratico e progressista forte e plurale, allora credo si possa dire che l’obiettivo è stato raggiunto. Sottolineo i due verbi “aprire” e “porre le basi”. Non un approdo ma una partenza, non un’inaugurazione ma la posa della prima pietra di un edificio che deve essere bello, largo, accogliente, aperto. 

“Tutta un’altra storia” per scrivere gli anni 20 del 2000, un impegno che non si è certo compiuto con il dibattito e gli interventi di questi giorni a Bologna. 

Due aspetti “di metodo”, in realtà di cultura politica, credo siano stati evidenti. 

Primo: un partito progressista non può fare a meno del dialogo sociale, del confronto con i sindacati, con il mondo delle imprese, con i mondi organizzati nella società civile.

C’è qui un punto di rottura culturale da salutare positivamente. Dopo anni in cui si è teorizzata la disintermediazione, la crisi irreversibile dei corpi intermedi, l’inutilità del confronto per assumere decisioni dal governo, abbiamo esplicitamente riconosciuto il valore essenziale degli interlocutori sociali. E non è un caso che, dai leader sindacali al presidente di Confindustria passando per i dirigenti di Acli, Lega Ambiente, Arci, questa novità sia stata colta e sottolineata. 

Secondo: hanno parlato molte persone non aderenti al Pd, spesso voci critiche, e abbiamo potuto ascoltare contributi di tante competenze ed esperienze diverse. Abbiamo visto un bel po’ di facce nuove, bene. L’apertura del Pd verso tanti mondi che sono fuori di noi è un imperativo per dare credibilità e senso all’idea di un partito che vuole rimettere in moto l’Italia.

Se vogliamo combattere la sfiducia nei confronti della politica dobbiamo coinvolgere forze nuove, dare spazio a chi ha voglia e capacità per mettersi in gioco, inventare nuove forme e strumenti di partecipazione. Solo così possiamo contrastare quella che Melloni intervenendo ha chiamato la “fascinazione dell’autoritarismo”.

Infine qualche considerazione sul “posizionamento”, l’identità del Pd e l’esperienza di governo. Qualche commentatore ha scritto di un partito che si sposta “a sinistra”, alcuni nostri avversari o competitori sicuramente sceglieranno di giocare su questa semplificazione. Magari anche alcuni nostri iscritti si sentiranno rassicurati e rappresentati da questa chiave di lettura. 

Ha fatto bene Zingaretti nell’intervista di oggi a Repubblica a chiarire che l’orizzonte verso cui ci muoviamo è invece decisamente più ampio e ambizioso. Vogliamo parlare a tutta la società italiana, vogliamo strappare alla destra quegli elettori che, a causa delle paure e delle inquietudini che la crisi ha prodotto e acuito, cercano protezione e speranza per il futuro. 

Vogliamo ripartire dalle diseguaglianze non solo per dare risposte a chi è rimasto indietro ma anche perché la crescita di un Paese come il nostro – che accanto a molti punti di forza ha un debito pubblico tra i più alti in Europa – richiede di liberare tutte le nostre energie, a partire da quelle dei giovani, delle donne, del Mezzogiorno che non possono restare ai margini. 

Vogliamo ripartire dalla sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo che richiede una grandissima dose di innovazione e una radicale capacità di aggiornare le nostre analisi e avanzare proposte originali. 

Ecco perché l’Ilva è un banco di prova ineludibile: lavoro e salute devono poter stare insieme. Una moderna politica industriale può anzi nascere proprio a partire dalla consapevolezza dei rischi per l’ambiente e dalla ricerca di nuove soluzioni scientifiche e tecnologiche. Ma non esistono soluzioni semplici, o meglio: tutte quelle semplici sono in realtà sbagliate o impossibili. L’unità di intenti per trattare con una multinazionale come Arcelor Mittal e decidere quali strumenti, anche normativi, mettere in campo è una precondizione per approdare a soluzioni credibili.

In questo quadro l’esperienza di governo che stiamo conducendo non può essere vissuta come un incidente di percorso e nemmeno come una parentesi prima del prossimo voto. Dobbiamo lavorare per far maturare una visione del Paese (e dell’Europa) che renda quelle priorità – lotta alle diseguaglianze e sviluppo sostenibile – una prospettiva coerente e di medio periodo di un nuovo campo democratico e progressista, in Italia e in Europa.

Le migliaia di persone che in questi giorni si mobilitano accalcandosi nelle piazze come “sardine” e cantando “Bella ciao” meritano molti applausi ma anche una risposta politica: la capacità di tradurre in un’alleanza “per” una somma di validissime ragioni “contro” Salvini. 

Allo stesso modo la manovra di Bilancio, che in questi giorni inizia i suoi primi passi in Parlamento, può essere una buona palestra per le forze che compongono la maggioranza. L’impianto di quella Legge di Bilancio non può e non deve essere stravolto ma su molti punti di dettaglio – non banali – la maggioranza può migliorarla senza ricercare primogeniture e senza tentare di imporre bandierine. 

Ecco, questo il “succo” buono delle nostre tre giornate di Bologna. Una sfida che ci richiede un vocabolario in parte ancora da scrivere. Esattamente il contrario di un ritorno a identità passate e consolatorie. 


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