Il risultato delle elezioni in Basilicata, gli attacchi al neo-segretario Zingaretti, i temi da mettere al centro della prossima campagna elettorale per le Europee di maggio. L’articolo di Pier Paolo Baretta, pubblicato oggi da Formiche, è un viaggio a 360 gradi nel Pd di oggi e di domani.

“Chi pensava che bastasse il successo delle primarie e il cambio di segretario per risolvere di colpo le difficoltà del Partito democratico si sbagliava. Il dato della Basilicata, deludente per il Pd, dimostra quanto lungo è ancora il cammino. Ma chi, al contrario, ancora sostiene che da quando se n’è andato Renzi si perde – dimenticando il referendum e la gestione delle politiche del 2018 -, non coglie (o non vuole) la complessità dell’attuale fase politica e i segnali che arrivano dagli elettori”.

Per questi motivi, accoglienza, sicurezza, integrazione, ius soli sono solo esempi di un fronte da seguire per il Partito democratico e il centrosinistra. A Baretta non sfugge, infatti, la complessità dello scenario politico italiano.

“Innanzitutto, il risultato lucano conferma il trend generale: la Lega va forte ovunque, ma la tenaglia con la quale Berlusconi avviluppa Salvini si stringe. Al contempo i 5 Stelle sono entrati nella tempesta e ne vengono sballottati alla grande, pur restando un partito di tutto rispetto. Il Pd non è ancora competitivo, né ancor meno autosufficiente (in Basilicata, però, non dimentichiamolo, hanno pesato molto le vicende locali); ma, nell’ottica di una coalizione ampia di centrosinistra, la strada per la ripartenza appare praticabile. Possiamo affermare che, nel breve e medio periodo, questo è il quadro nel quale si muoverà la politica italiana”.

Cosa fare, allora, in vista delle elezioni del 26 maggio? “La prima è una riorganizzazione del partito che trasferisca anche nei territori il nuovo clima nazionale, fatto di entusiasmo, fiducia, competenza e apertura alla società, organizzata e non. In particolare, su questo ultimo aspetto si è consumata negli anni scorsi una frattura non ancora sanata. Superare la “disintermediazione” non vuol dire rinunciare a un confronto che faccia evolvere gli stessi corpi intermedi dal rischio costante del corporativismo, ma comprendere che la loro presenza diffusa e la loro rappresentanza sono un pilastro della democrazia rappresentativa alla quale non possiamo rinunciare. La seconda che la prospettiva di un centro sinistra aperto e, di conseguenza, con liste plurali, sia percepita dall’opinione pubblica come una strategia di lungo periodo e non come una tattica per gestire la congiuntura. Le Europee saranno il primo banco di prova di questa scelta e l’apertura a candidature autorevoli (PisapiaCalenda) va nella giusta direzione. La terza che i contenuti – la piattaforma politica – siano tali da consentire il necessario recupero di credibilità, presupposto per ritrovare il consenso. Un modello di sviluppo “sostenibile”, cioè attento all’impresa, al lavoratore e all’ambiente, è una necessità, tanto più per noi che facciamo del made in Italy (ovvero qualità e bellezza) il nostro biglietto da visita nel mondo.

L’accoglienza nella sicurezza, ovvero flussi controllati e integrazione per chi vive già in Italia (argomenti dei quali Salvini non si occupa), sono elementi decisivi di una strategia che prevede anche diplomazia e cooperazione nei confronti dei Paesi di origine e di transito dei migranti. In questa impostazione lo ius soli va realizzato.

Sono solo esempi di un percorso, ben più complesso, che si è aperto nel Pd e nel centrosinistra e che le recenti elezioni regionali, pur nella sconfitta (o, proprio, per la sconfitta), indicano come quello da praticare”.