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Gentiloni: subito un’alternativa credibile. Si potrebbe votare già quest’anno - intervista del Corriere della Sera

19 Marzo 2019

Il presidente del Pd: “evitiamo di guardare indietro. Renzi? Di sicuro darà una mano” Intervista di Maria Teresa Meli


Per non parlare subito del Pd: onorevole Paolo Gentiloni, è vero che con la Cina ha cominciato tutto lei, come ricordano sempre gli esponenti del governo?

«Avere intense relazioni commerciali, economiche e diplomatiche con la Cina non solo è giusto, ma doveroso. Altro conto è il rischio di fughe in avanti in un momento in cui già il governo italiano appare isolato e inaffidabile a molti dei suoi alleati storici».

 

Lei dice che ora il Pd deve sfidare Salvini. Una «mission impossible»?

«Dico che finalmente comincia a profilarsi la possibilità di un’alternativa. E che il 26 maggio una grande lista progressista ed europeista capace può competere per il primo posto con i nazionalisti antieuropei della Lega, anche se so bene che oggi i sondaggi registrano una distanza notevole».

 

+Europa e Pizzarotti vi hanno detto di no.

«Avremo comunque una grande lista europeista che metterà insieme anche molti protagonisti dell’appello Siamo europei promosso da Calenda».

 

Voi fate affidamento sul crollo dei 5 stelle, non siete troppo ottimisti?

«Molto dipende da noi. Dalla nostra capacità di offrire un’alternativa credibile a un Paese fermo, isolato e perfino incattivito. Un Paese in cui si è affermata la leadership della Lega sul governo. Credo che questo sia un elemento di riflessione sia per quei nostri elettori che alle scorse politiche si sono astenuti e sono la maggior parte dei consensi che abbiamo perso sia per chi magari ha sperato nei 5 Stelle. Abbiamo sostenitori di Chavez che appoggiano la chiusura dei porti contro i migranti, abbiamo giustizialisti che votano per non procedere nei confronti di Salvini. I principi su cui si era affermata l’onda dei 5 Stelle si sono capovolti alla prova del governo».

 

Chiudete alla Lega e ammiccate ai 5 Stelle?

«Io non faccio particolari distinzioni tra di loro. Non ci sono i buoni e i cattivi. Simul stabunt, simul cadent. Noi siamo contro questo governo che non a caso definisco nazional-populista, e penso che il Pd non debba mettersi a fare giochini ma recuperare gli elettori che se ne sono andati».

 

Vede le elezioni anticipate all’orizzonte?

«Non sottovaluto il desiderio di conservare una situazione di potere. Ma questo governo ha già esaurito la sua missione: lo vedo da un lato bloccato nella maggior parte delle decisioni da prendere e dall’altro assolutamente disarmato rispetto alle scelte che dovrà fare con la prossima legge di bilancio. Quindi chi come noi deve prospettare un’alternativa deve farlo sapendo che i tempi possono essere anche molto brevi, e cioè che si potrebbe votare nel 2020 o persino nel 2019».

 

Il Pse non andrebbe riformato e ripensato?

«Le forze europeiste vanno ben oltre il Pse come ha detto ieri giustamente Zingaretti, da Tsipras a Macron. E non c’è dubbio che in questa fase Macron rappresenti sui temi europei la frontiera più avanzata con la quale gli eletti del Pd e in generale il Pse saranno chiamati a collaborare. Poi ci sono i Verdi, i liberali europei. Quando raccontano che Bruxelles sta per essere espugnata raccontano una favola: la nuova commissione, i nuovi vertici europei saranno di nuovo espressione delle grandi famiglie politiche europeiste».

 

Zingaretti dice «cambiamo tutto», ossia?

«Noi abbiamo una responsabilità nei confronti del milione e seicentomila persone che ci hanno rinnovato la fiducia. Non ci hanno dato una delega in bianco, sono molto esigenti e ci chiedono due cose fondamentalmente. La prima di far capire che nel Paese un’alternativa è possibile. E poi, visto che siamo reduci da una sonora sconfitta elettorale, ci chiedono di cambiare. E si può cambiare in due direzioni . Guardando all’indietro, alle nostre biografie, ai nostri album dei ricordi, oppure guardando al futuro».

 

Il futuro vuol dire rimettersi con i vostri transfughi?

«No. Vuol dire un Pd più verde, più sociale, più europeista che superi i limiti che ha avuto in questi anni la nostra azione. Non certo un Pd che riscopra vocazioni del secolo scorso e faccia marcia indietro. Se qualcuno pensa di tornare allo schema Ds-Margherita, per intenderci, non conosce nemmeno la realtà del nostro paesaggio politico».

 

Renzi se ne andrà?

«Sono fiducioso sul fatto che darà una mano, credo che anche su questo Nicola sia partito con il piede giusto. D’altra parte siamo in campagna elettorale, si vota tra due mesi, non possiamo che essere uniti».

 

Le dispiace che la mozione Giachetti non l’abbia votata?

«Mi pare che mi abbia votato il 94 per cento dell’assemblea. Un tempo si sarebbe detto una percentuale bulgara. Comunque spero di rappresentare anche quel sei per cento che non mi ha votato».

 

Che pensa della flat tax di Salvini?

«Il governo sta aumentando le tasse, altro che flat tax. La pressione fiscale è calata continuamente negli ultimi sei anni, passando dal 43,8 del 2012 al 42 del 2018. Ora invece è tornata a crescere, dello 0,4 quest’anno. Il resto è propaganda. Che tuttavia mi preoccupa. Questi fuochi d’artificio nella settimana lucana, come è gia accaduto in passato, li pagheremo in termini di reputazione finanziaria internazionale».

 

Teme che fenomeni come quello della Nuova Zelanda possano estendersi altrove?

«La guardia contro il terrorismo deve restare alta, la vittoria militare su Isis non ha cancellato i rischi. Ma io pretendo dal mio governo e dal mio ministro dell’Interno anche un’azione immediata per stroncare ogni benevolenza verso il suprematismo bianco. Non vorrei che qualche frangia pensasse che siamo di fronte a sovranisti che sbagliano».


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