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A cent’anni dai 'Liberi e Forti' di don Luigi Sturzo - intervista a Pierluigi Castagnetti di Rai News

04 Febbraio 2019

“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”. E’ l’incipit del grande appello lanciato, il 18 gennaio 1919, dalla Commissione Provvisoria del Partito Popolare Italiano. Si rivolge a quei “uomini moralmente liberi e socialmente evoluti”, erano disposti a impegnarsi a sostenere un progetto politico e sociale per l’Italia all’indomani della Prima guerra mondiale. Tra i membri della Commissione provvisoria, guidata da Luigi Sturzo, vi erano Giovanni Bertini, Giovanni Bertone, Stefano Gavazzoni, Achille Grandi, Giovanni Grosoli, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Umberto Merlin, Giulio Rodinò, Carlo Santucci. E’ l’inizio di una storia lunga un secolo. Lo storico liberale Federico Chabod annovera, la nascita del PPI, tra i grandi eventi della storia nazionale. Per ricordare i cento anni dell’appello lo scorso mese di gennaio, a Roma, all’Istituto Sturzo si è svolto un momento celebrativo con la partecipazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al Convegno dello Sturzo hanno ‘partecipato politici, intellettuali e storici cattolici. Che cosa ha significato per la storia nazionale ed europea quell’appello? Quali sono i valori che esprime? Quale riflessione, politica, può ispirare oggi nel tempo del sovranismo deleterio? Ne parliamo, in questa intervista, con Pierluigi Castagnetti. Castagnetti è stato per lunghi anni deputato alla Camera e parlamentare europeo. E’ stato tra i fondatori, con Mino Martinazzoli, del nuovo Partito Popolare Italiano. Nel 1999 divenne Segretario del PPI. E’ autore di diversi saggi di politica. L’ultimo è uscito per l’editore Rubettino (“Sturzo e il Partito che mancava”). Alla fine dell’intervista, come documento, riproduciamo il testo dell’Appello.

Don Luigi Sturzo

Pierluigi Castagnetti, cento anni fa, a Roma presso l’albergo Santa Chiara
vicino al Pantheon, don Luigi Sturzo lanciava l’appello “A tutti gli uomini Liberi e Forti”. Nasceva il Partito Popolare Italiano. Un partito democratico, laico, di ispirazione cristiana. Un partito progressista che rompeva con il vecchio intransigentismo cattolico superando così il “non expedit”. Insomma i cattolici divennero “adulti”. E’ così?
Si può dire. Nel senso che i laici cristiani assunsero in nome proprio la responsabilità di un impegno politico. La gerarchia però venne sempre informata. Del resto non avrebbe potuto essere diversamente, Sturzo era un prete. Il parto del nuovo partito era stato ampiamente seguito e anche prolungato: il PPI venne infatti annunciato nel famoso discorso di Caltagirone del dicembre 1905 e venne formalmente alla luce solo il 18 gennaio del 1919, quasi quattordici anni dopo. In mezzo c’era stata la prima guerra mondiale, i primi tentativi di ingresso dei cattolici in politica con il Patto Gentiloni, l’esperimento della Democrazia Cristiana di Romolo Murri, iniziative “parapolitiche” come le “Unioni” perlopiù gemmate o nate nei pressi dell’Azione Cattolica, l’ingresso in parlamento a titolo personale di alcune personalità cattoliche come il gruppo dei cattolici “manzoniani” di Brescia. Ma soprattutto c’era stata la crisi dello Stato liberale nell’immediato primo dopoguerra, la sua progressiva disgregazione fra inerzia e litigiosità dei partiti “ideologici” e lo sfibrante logorio delle istituzioni. Insomma i tempi erano più che maturi.

Partiamo dal titolo: “Liberi e Forti”. Perché?
Perché l’intenzione era quella di allargare l’appello a tutti gli uomini, e donne, non solo ai cattolici. Liberi e Forti è la sintesi delle virtù evocate nell’appello, che è un inno a una concezione della libertà molto più larga e completa di quella propugnata dal partito liberale. Libertà e giustizia. Per la precisione “Giustizia e liberta”. Forti, non nel senso della forza o della potenza, ma della virtù della fortezza.

Veniamo all’Appello. Lo storico Gabriele De Rosa lo definisce come uno dei
documenti più ”elevati e di maggior impegno civile nella letteratura
politica”. Insomma è la carta di identità del popolarismo. Quali sono le
parole chiave?
Libertà, Giustizia e Pace duratura. Condivido il giudizio di De Rosa: c’è una qualità letteraria e una profondità culturale nel testo effettivamente straordinarie. Nel senso che con poche parole si riesce a delineare i contenuti dell’appello sia in termini filosofici che politici in senso proprio. Martinazzoli nel 1994, quando il 18 gennaio assieme a De Rosa lanciò un nuovo Appello che
preludeva al varo di una nuova stagione del PPI, cambiando il nome alla Democrazia Cristiana, obiettivamente non riuscì a uguagliare – pur essendo anche lui un letterato raffinato – nella forma e nel genere il primo Appello.
Ma la forza del PPI di Sturzo trascendeva la pur importante qualità della forma. Nasceva infatti uno strumento politico che consentiva alle masse cattoliche, che costituivano una parte importante della società italiana, di entrare in politica e di dare effettiva rappresentanza e sostanza al regime democratico dell’Italia unitaria. Ma nasceva anche un partito che nella forma, nella vita interna, nelle relazioni esterne si proponeva come un soggetto veramente democratico, che solo trent’anni dopo, nella discussione sull’art. 49 della Costituzione, troverà una definizione anche teorica precisa. Allora mancava un partito simile.

In effetti questo è il titolo anche del suo recente volume, edito da
Rubettino, “Sturzo e il partito che mancava”.
Si, Sturzo era un sacerdote, un uomo politico, ma potremmo dire anche un politologo, uno studioso della scienza politica e della sociologia. Dialogava con i grandi sociologi della scuola svizzera e della scuola tedesca, scrisse diverse decine di testi, alcuni dei quali durante il suo esilio vennero adottati in alcune università americane. In particolare si occupò della democrazia interna ai partiti, della separazione fra partiti e istituzioni, della professione del politico, del rapporto fra etica e politica, oltrechè di architettura istituzionale dello Stato. Per
lui lo Stato era, infatti, la forma organizzativa della società. Anche per questo la nascita del PPI venne celebrata anche da leaders di partiti avversari – penso a Gramsci, a Salvemini e altri – come un evento, diremmo oggi, periodizzante della democrazia italiana. Giudizi in seguito condivisi e ribaditi da studiosi di storia contemporanea come Federico Chabod, sino ai maggiori del nostro tempo.

Non c’è dubbio che l’insieme dei punti dell’Appello costituiscano i
contenuti di una politica popolare. Sorge spontanea una domanda: politica
populista e politica popolare. Il popolarismo è avversario del populismo. E’
così?
Si, è proprio così. Il popolarismo si regge sull’idea che il popolo debba essere attore politico. Il populismo rappresenta invece la scelta della politica di utilizzare alcuni sentimenti del popolo a fini elettorali e partitici.
Sturzo spiegò varie volte che il PPI non avrebbe potuto nascere se alla spalle non ci fossero state migliaia di cooperative di produzione e lavoro, di casse rurali, di mutue assicurative, di associazioni assistenziali, luoghi in cui il protagonismo della società, del popolo, si sviluppava tutti i giorni. Il partito, quando nacque, altro non fu che la proiezione sulla scena politica di tale protagonismo sociale.
Un partito popolare mette tutti i giorni le “mani nella morchia” del motore sociale. Di quel motore che consente alla società di farsi Stato. Niente a che vedere con il populismo, con quei movimenti cioè che utilizzano rabbia e paure per contestare lo Stato.

Tra i punti di forza dell’Appello c’è il municipalismo. Certamente è
l’applicazione del principio di sussidiarietà. Ma è anche qualcosa di più.
Sbaglio?
Certamente è qualcosa di più. Sturzo cominciò a fare politica nel comune di Caltagirone, di cui fu pro-sindaco (svolgeva le funzioni di sindaco, aggirando il divieto per i presbiteri), fondatore dell’ANCI siciliana e poi nazionale. Riteneva che il comune fosse l’istituzione in cui la democrazia esprimeva tutte le sue potenzialità per l’elevazione del cittadino, proprio per la condizione di massima prossimità. Dialogando con intellettuali cattolici francesi, belgi e tedeschi (nel 1921 andò a Colonia per conoscere il borgomastro di quella città, Konrad Adenauer), aveva elaborato una solida cultura delle soggettività originarie, cioè naturali e, come tali, precedenti le istituzioni dello Stato. Prima viene la persona, poi il luogo in cui la persona si realizza nelle relazioni con gli altri, la comunità locale. E poi, di seguito, le altre istituzioni territoriali. Non è un caso che all’art. 2 della nostra Costituzione dove si parla dei diritti delle persone, e all’art.5 dove si parla delle autonomie locali, trent’anni dopo la nascita del PPI, il costituente adotti il verbo riconoscere (“riconosce e garantisce”, “riconosce e promuove”), ammettendo in tal modo che c’è qualcosa di più importante, qualcosa che precede lo Stato, appunto: la persona e il comune. Viene alla mente Tocqueville che diceva che le nazioni le avevano fatte gli uomini, mentre i comuni li ha fatti Dio.

Un altro punto di forza di grande interesse è la dimensione internazionale.
Il richiamo alla giovane, allora, Società delle Nazioni. Un internazionalismo
forte. In tempi di sovranismo siamo agli antipodi… E’ così?
Si. Per Sturzo vi era connessione strettissima fra politica interna e politica estera. In lui l’attenzione alla dimensione internazionale è fortissima. Fu tra i primi, ancor prima di Ventotene, a parlare degli Stati Uniti d’Europa, al punto che, quando la sera del 27 marzo 1957, dopo la sottoscrizione del Trattato nella sala della Protomoteca del Campidoglio, tutti i capi di Stato e di governo si recarono al Quirinale per partecipare alla “cena in onore”, Adenauer disertò per
andare a cena nel convento delle canossiane dove alloggiava Sturzo, che lui considerava il vero padre Fondatore. Basta leggere uno dei suoi trattati politici più importanti, “La comunità internazionale e il diritto di guerra”, scritto al tempo della guerra civile spagnola, per capire il respiro internazionale della sua visione politica: ovviamente contestava il diritto di guerra, anche quello delle Crociate, e propugnava una politica di integrazione internazionale come mezzo per costruire la pace. Anche nell’art. 11 della nostra Carta c’è il segno di una sua ispirazione. Ma, per dire del suo sguardo europeista e mediterraneista, basta leggere alcuni suoi discorsi dell’epoca per accorgersi che lui si è sempre considerato e definito cittadino “sudeuropeo”, anche quando nessuno lo faceva, e considerava il bacino mediterraneo come il cuore e non il meridione dell’Europa. Il punto d’incontro fra le grandi culture e le grandi religioni, ebraica, cristiana, e islamica.
Ma proprio sulla politica internazionale l’Appello fa affermazioni e indica obiettivi chiarissimi e originali in quel tempo, quando – dopo aver rigettato ogni forma di imperialismo che creano popoli dominatori e favoriscono comprensibili volontà di riscossa – chiede alla Società delle Nazioni di riconoscere le giuste aspirazioni nazionali, di affrettare l’avvento del disarmo universale, di abolire il segreto dei trattati, di attuare la libertà dei mari, di propugnare nei rapporti internazionali la legislazione sociale, l’uguaglianza del lavoro, la libertà religiosa e la tutela dei diritti dei popoli più deboli.

L’Appello, come abbiamo già detto, nasce da una storia. E’ il distillato del
pensiero e azione di uomini, non solo della genialità politica di Sturzo. Le
chiedo, per finire due cose: a)cosa dice oggi l’appello ai cattolici italiani?;
b)il tempo della politica italiana contemporanea è attraversato,
drammaticamente, da venti pericolosi di populismi e sovranismi. E il
richiamo di papa Francesco alla “buona politica” come si può
concretamente esplicitare? Qualcuno pensa a un nuovo partito “cattolico”
o “centrista”. Qual è il suo pensiero su questi punti?
Io penso che la memoria dell’Appello susciti, non solo nei credenti, una comprensibile nostalgia di politica rigorosa, se possibile dire “scientifica”, affidata a uomini di competenza e professionalità oltrechè di specchiata virtù civica e personale, una politica validata e visibilmente e frequentemente autenticata dal popolo. Ma la nostalgia non ci fa andare avanti.
La realtà di oggi è evidentemente cambiata, e molto, rispetto al secolo scorso.
Così come Sturzo ha raccolto la sfida del suo tempo trovando la strada per l’ingresso nello vita dello Stato dei tanti cittadini credenti che ne erano esclusi, e De Gasperi pure, ha raccolto quella del suo tempo, diverso da quello di Sturzo, facendo un partito cui inevitabilmente era affidata la missione di ricostruire le basi materiali e morali di un paese e un popolo terribilmente devastati da vent’anni di fascismo, e Moro non di meno, ha colto – e drammaticamente pagato con la vita – la necessità di integrare, cioè favorire la legittimazione democratica delle forze politiche della sinistra, perché la nostra “democrazia incompiuta” e dalle “forti passioni sociali e dalle fragili istituzioni” richiedeva, appunto, l’allargamento delle sue basi, così oggi, ai cattolici, ma non solo a loro, è richiesto di pensare risposte politiche nuove. La globalizzazione e la digitalizzazione hanno messo in crisi i principi di sovranità e di rappresentanza, in tutto il mondo, per la verità. Così la democrazia rischia di non sopravvivere. Deve reinventarsi. Deve accettare che i vecchi paradigmi siano messi in discussione. I “cattolici” prima di pensare a un nuovo partito mi chiedo se hanno pensato quale mission affidargli, su quale consenso poter contare, visto che come realtà sociologica sono diventati ormai una netta minoranza? Capisco che, mentre Sturzo ha impiegato quattordici anni per fare il partito, oggi si pensa di poterlo realizzare nella migliore delle ipotesi con un convegno.
Col che non voglio negare che, nella situazione data, oggi ve ne possa essere non solo lo spazio, ma, da un certo punto di vista, persino la necessità.
Personalmente però non vedo all’orizzonte ancora né le idee, né le leadership. E’ evidente, in ogni caso, che sarebbe assurdo regredire a prima di Sturzo, come alcune ipotesi che circolano di iniziative di carattere di fatto confessionale, potrebbero far pensare.

Ma non è neppure questo il problema più urgente.
Vedo infatti più urgente l’esigenza di tentare di rimettere ordine a una situazione di grave interferenza fra Cesare e Dio che sta determinandosi, sulla scena politica non solo italiana, come rileva padre Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”. Se fino a ieri avevamo, infatti, assistito nella storia dei secoli che sono alle nostre spalle, a qualche tentativo delle chiese – nei vari contesti dell’Europa moderna – di prendersi parte delle pertinenze di Cesare, adesso
stiamo assistendo a tentazioni opposte, cioè a qualche tentativo della politica di utilizzare le sue armi per interferire sul piano religioso: la presenza di Bannon sul nostro territorio nazionale, ad esempio, a me pare molto inquietante.
Dunque i credenti, laici e presbiteri, sarà bene che si occupino di questo, cioè si diano una mossa sino a che sono in tempo.

APPELLO AI LIBERI E FORTI
Atutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della “Società delle Nazioni”.
E come non è giusto compromettere i vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le più elevate idealità civili, così è imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società.

Perciò sosteniamo il programma politico-morale patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola angusta e oggi propugnato da Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse: perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti.

Al migliore avvenire della nostra Italia – sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano – che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d’entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi.

Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali: vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali.

Ma sarebbero queste vane riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova Società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl’individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.

Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività, che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie, che debbono comporsi a nuclei vitali che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse in nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica e attingere dall’anima
popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all’autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale.

Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici, mentre l’incremento delle forze economiche del Paese, l’aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l’analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria.

Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principii del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi Imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni identità, di fronte a vecchi liberalismi settari, che nella forza dell’organismo statale centralizzato resistono alle
nuove correnti affrancatrici.

A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl’interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del Partito Popolare Italiano facciamo appello e domandiamo l’adesione al nostro Programma.


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