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Intervento di Franco Mirabelli in presentazione della mozione Zingaretti al Circolo PD di Affori a Milano

13 Gennaio 2019

 

Questo è un congresso molto importante perché viene dopo una sconfitta elettorale pesante.

Dopo aver governato gli ultimi 5 anni, abbiamo subito una sconfitta pesante dagli elettori.

Inoltre, facciamo il congresso in una situazione molto preoccupante per l’Italia perché, per la prima volta in Europa, nel nostro Paese si sta sperimentando un Governo sovranista, composto da forze populiste.

Molte delle cose che ci siamo detti in passato e molti schemi su cui ragioniamo, con questo scenario, saltano.

Siamo di fronte ad una situazione assolutamente nuova.

Penso, quindi, che in questo congresso, ognuno di noi abbia una grande responsabilità.

La prima responsabilità è quella di essere all’altezza dell’importanza di questo passaggio, sapendo che se faremo bene questo dibattito e se sapremo parlare fuori da noi, anziché litigare all’interno. Solo parlando al Paese il nostro dibattito può diventare molto utile.

Se il 3 marzo dovessero partecipare alle primarie poche persone e non dovesse arrivare il segno che il PD può tornare ad essere l’interlocutore e la speranza per tante persone che oggi sono contro al Governo M5S-Lega ma non trovano un punto di riferimento, si aprirà uno scenario ancora più pericoloso.

 

Abbiamo bisogno di un partito che discute e che si confronta, mentre in questi anni ci siamo abituati all’idea che la discussione dentro al partito è il litigio non il confronto tra idee in cui ognuno cerca di ascoltare l’altro per capire qual è la sintesi tra posizione diverse.

La condizione per l’unità è che ci deve essere un partito che sceglie e discute, non che litighi; in cui l’attenzione è sempre sul Paese non su di noi.

Parliamo troppo spesso di noi e troppo poco del Paese.

Dobbiamo poi chiudere la fase dei “liberi tutti”, in cui ciascuno fa ciò che vuole ma, allo stesso tempo, dobbiamo chiudere anche la fase in cui chi non è d’accordo è un “gufo” o un disturbatore del manovratore.

Abbiamo bisogno di un partito plurale, aperto, che cerca la sintesi, non un “partito del leader” ma un “partito con il leader”; in cui il confronto di idee si conclude facendo una sintesi.

Serve un partito in cui non si esaurisce tutto con le tifoserie sui social network ma un partito che discute.

Serve un partito che recuperi il valore di una grande parola che è “ascolto”, che abbiamo perso tra di noi ma soprattutto con la società.

Dobbiamo tornare ad avere una capacità di ascolto.

 

Personalmente sono convinto che il PD è stato protagonista di una importante stagione di Governo.

Sarebbe assurdo se dicessi il contrario di ciò che ho detto un anno fa.

Penso che abbiamo governato bene e i dati dicono che noi abbiamo portato il Paese fuori dalla crisi; abbiamo cambiato i dati macroeconomici; abbiamo fatto molte riforme importanti.

Certamente abbiamo fatto anche qualche errore ma penso che non si debba fare alcuna abiura della nostra azione di Governo.

Tuttavia penso anche che non si possa fare finta di niente rispetto all’esito elettorale del 4 marzo.

Nonostante tutto quello che abbiamo fatto, abbiamo preso il 18% alle elezioni.

Si è, quindi, rotto un rapporto tra noi e una parte della società e una parte del Paese.

Abbiamo subito una sconfitta storica e, per tornare in sintonia con le domande che vengono dai cittadini a cui evidentemente non abbiamo risposto, dobbiamo capire le ragioni della sconfitta.

 

Non diciamo che stiamo concludendo frettolosamente una discussione congressuale perché abbiamo perso le elezioni un anno fa: è, quindi, da un anno che dobbiamo fare questo passaggio, dobbiamo capire le ragioni della sconfitta e dobbiamo capire come ripartire.

Non ce la caviamo dicendo che hanno sbagliato gli elettori.

Non ce la caviamo dicendo che è un problema di comunicazione.

Non ce la caviamo neanche dicendo che passerà dopo la sbornia elettorale quando si capirà cos’è questo Governo.

Non sarà così.

Non dobbiamo neanche fare come abbiamo fatto dopo la sconfitta del referendum del 4 dicembre. In quell’occasione, infatti, commettendo un errore, anziché cercare di capire cosa stava succedendo e perché non eravamo più in sintonia con il Paese o con una parte del Paese, abbiamo detto che andava tutto bene perché il 40% degli elettori era con noi.

Dalla mancanza di un ragionamento sulle ragioni di quella sconfitta parte tutto.

Per questo penso che ora non dobbiamo fare lo stesso errore.

Credo che abbiamo governato bene per come si poteva governare in un momento di crisi come quello che ha vissuto il nostro Paese dal 2008 in poi.

La crisi ha prodotto la paura del futuro, su cui la destra ha speculato.

La crisi ha prodotto un peggioramento delle condizioni di vita di una parte consistente dei cittadini, al di là delle nostre azioni di governo.

E poi la crisi ha prodotto il fatto che un’intera generazione si è accorta che, forse per la prima volta, i propri figli avrebbero avuto un futuro peggiore del proprio.

 

Noi abbiamo fatto bene in questi anni a valorizzare i risultati che abbiamo ottenuto e a festeggiare i dati del PIL che cresceva ma non abbiamo capito che mentre crescevano le diseguaglianze, mentre le sofferenze patite da una parte di questo Paese permanevano, facendo questo siamo apparsi come i difensori di una logica in cui quello che conta non sono le persone ma garantire i parametri europei o la crescita del PIL.

In realtà non siamo questo, non è vero che non ci siamo occupati delle persone ma siamo stati percepiti così, come distanti, come i difensori dei potenti, in una dialettica che i sovranisti sono riusciti a trasformare nei “potenti contro il popolo”.

Questo è il tema da cui dobbiamo partire perché oggi c’è un Governo sovranista che continua a speculare sulle paure, usa parole nostre - perché la lotta alla povertà è una parola nostra - ma le declina in maniera sbagliata.

Questo è il quadro che abbiamo di fronte.

 

Dobbiamo, quindi, saper leggere le ragioni della sconfitta subita e della situazione in cui ci troviamo ma, soprattutto, dobbiamo sapere che quelle ragioni impongono un cambiamento, una rifondazione del Partito Democratico.

Il tema non è sostituire il gruppo dirigente o dare la colpa a Renzi o dare la colpa a Emiliano ma come ricostruiamo il Partito Democratico in un quadro diversissimo da quello che abbiamo conosciuto, diversissimo da quello in cui è nato il PD.

Come costruiamo una proposta dei riformisti in un quadro che è tutto mutato e assolutamente inedito?

Siamo di fronte ad un Governo sovranista che si traduce in un “vale quello che succede domani mattina e il futuro non ci interessa” che pregiudica così il futuro dell’Italia e continua a speculare sull’idea rapporto del “popolo contro i potenti”.

Quando il popolo si accorgerà cosa sta producendo questa situazione sarà tardi.

 

Siamo in uno scenario inedito perché non c’è neanche più il sistema maggioritario: l’abbiamo fatta noi la legge elettorale proporzionale e oggi abbiamo il 18%.

L’idea del partito a vocazione maggioritaria, quindi, in questo momento non è riproponibile.

Oggi c’è la destra, per questo penso che abbiamo una responsabilità storica.

I sovranisti, insieme M5S e Lega, stanno mettendo mano alla qualità della nostra democrazia.

Progressivamente, infatti, si tende a spiegare che ogni volta che qualcuno dice che qualcosa non va bene - sia un organismo terzo dello Stato, sia un’agenzia istituzionale, sia un garante delle istituzioni o un parlamentare o un giornalista - non si discute sul merito ma si attacca la persona, si attacca il ruolo e si crea un’idea per cui non si può discutere e chi discute vuol dire che sta dalla parte sbagliata e va demonizzato.

Questo è successo con i giornalisti, con il Presidente della Repubblica quando ha spiegato che Savona non andava bene per il ruolo da Ministro dell’Economia, con i Magistrati quando dicono che un Ministro si sta comportando male e vogliono indagarlo… ecc.

C’è, dunque, un problema di tenuta del quadro istituzionale.

 

Quando emergerà il disastro che hanno fatto con la manovra economica, cercheranno di spiegare che di fronte all’emergenza bisogna restringere gli spazi di libertà e democrazia.

Anche il tema della sicurezza per come lo sta gestendo Salvini è trattato con l’idea di restringere gli spazi di democrazia e di libertà.

 

Rispetto alle elezioni europee, siamo tutti d’accordo che dobbiamo difendere l’Europa dall’attacco dei sovranisti sapendo che difendere l’Europa vuol dire cambiare l’Europa.

Tutti hanno sostenuto la tesi che bisogna costruire un’aggregazione ampia e una lista ampia che aggreghi tutte le forze che hanno un’idea comune di Europa per contrastare i sovranisti.

In questa discussione a prendere le decisioni sarà il futuro gruppo dirigente del PD ma decideranno anche gli altri interlocutori e dire che il “simbolo non è un dogma” non significa che si voglia rinunciare al simbolo ma semplicemente che si deve fare una discussione con gli altri.

Tutti i candidati hanno firmato appelli in cui si sostiene di dover fare una lista aggregata.

 

C’è una domanda che viene dal Paese: date un punto di riferimento all’opposizione.

Questa domanda non si risolve guardando indietro pensando di riproporre ciò che è stato fino all’altro ieri né ciò che è stato fatto trent’anni fa.

Questa domanda si risolve soltanto guardando avanti.

 


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