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Le mafie al Nord - intervento di Franco Mirabelli al Teatro Cooperativa di Milano

16 Ottobre 2018

Voglio ringraziare Giovanni Poletti, autore del libro “L’olandese, il carabiniere e il convitato di pietra”, perché non è scontato scegliere di parlare di mafie in un romanzo, soprattutto di questi tempi.

In questi tempi, infatti, i problemi della sicurezza del Paese sembrano essere rappresentati dai bambini di Lodi o dal sindaco di Riace o dalle persone che fanno richiesta della cittadinanza e che - come prevede il testo del “Decreto Sicurezza” - vedranno allungarsi i tempi di quattro anni.

In realtà, nel libro “L’olandese, il carabiniere e il convitato di pietra”, Poletti racconta bene che i problemi del Paese rispetto alla criminalità e alla sicurezza sono ben più grandi e più corposi.

Abbiamo di fronte un nemico che rischia di passare in secondo piano e invece deve essere presentato e percepito come una priorità da combattere.

Credo che non sia stato un bel segnale per il Paese l’aver fatto un decreto in cui si sono accomunate sicurezza e immigrazione, dove la maggior parte degli articoli presenti non è volto a far sentire più sicuri i cittadini ma riguarda invece il tema dell’immigrazione, mentre solo due articoli parlano di mafie, in uno dei quali, oltretutto, si dice che bisogna vendere ai privati i beni confiscati alle mafie, con il rischio che a ricomprarli siano soggetti vicini a coloro a cui sono stati sottratti.

Il “Decreto Sicurezza”, quindi, non fa capire che la criminalità organizzata è una priorità da combattere.

Il libro “L’olandese, il carabiniere e il convitato di pietra” di Poletti, invece, ricorda in maniera netta che la ‘ndrangheta è qui al Nord, che è insediata in Lombardia, come abbiamo scritto anche nella relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia.

Nella scorsa Legislatura, con la Commissione Parlamentare Antimafia, ci siamo occupati molto delle mafie al Nord, anche perché della ‘ndrangheta al Nord si sapeva pochissimo.

Abbiamo studiato con la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano e di Nando Dalla Chiesa.

Abbiamo compreso la pericolosità della ‘ndrangheta e quanto sia insediata e radicata su questi territori, in cui fino a pochi anni fa c’erano anche Prefetti e Presidenti di Regione che spiegavano che la mafia qui non c’era.

Oggi conosciamo meglio queste cose anche perché la magistratura ha svolto inchieste importanti da cui possiamo trarre molte informazioni per capire cos’è la ‘ndrangheta in Lombardia.

La ‘ndrangheta è un’organizzazione che ha la capacità di governare il traffico di droga e, quindi, guadagnare molti soldi ed è transnazionale (fortissima in Canada, Italia e Germania e presente fino in Australia).

La ‘ndrangheta, inoltre, è un’organizzazione piramidale per cui tutto ciò che si fa viene sempre deciso in Calabria, così come in Calabria viene deciso come dirimere le controversie.

La ‘ndrangheta non ha solo l’obiettivo di guadagnare ma il potere.

Nell’indagine “Infinito” c’è un’intercettazione in cui un giovane ‘ndranghetista che ha appena ottenuto risultati in un Comune della Provincia di Milano, chiama il boss in Calabria per comunicarglielo, il quale gli risponde “Bene, qui c’è la Calabria, lì c’è la Calabria e ciò che oggi non è Calabria lo diventerà”.

C’è, quindi, la voglia di colonizzare i territori, voglia del potere.

L’obiettivo principale della ‘ndrangheta, infatti, non sono i soldi ma è il potere.

Nelle inchieste che abbiamo visto, i capi delle locali di ‘ndrangheta non erano ricchi: erano tutte persone che facevano lavori umili e mandavano le proprie donne a fare i servizi negli uffici e nelle abitazioni altrui.

La ‘ndrangheta è un’organizzazione piramidale e familista, per questo è più difficile che qualcuno si penta, sapendo che il pentimento vorrebbe dire mandare in carcere o mettere nei guai i propri parenti.

Siamo, quindi, di fronte ad un’organizzazione molto forte e molto complessa, che è continuamente in movimento.

Soprattutto, è in movimento rispetto alle cose che fa.

Dobbiamo uscire, quindi, da alcuni stereotipi: spesso abbiamo l’idea del mafioso che arriva al Nord con la coppola e la valigetta di soldi ricavati dalla droga da investire in Borsa, oppure del mafioso che manda il figlio a studiare ad Oxford e gli consegna i soldi per investirli nell’alta finanza mentre, invece, Nando Dalla Chiesa ha spiegato che non c’è alcun riscontro nella realtà di questi stereotipi che abbiamo in mente.

La ‘ndrangheta gode sicuramente di un forte credito nel mercato della droga e non deve dare garanzie per fare arrivare le consegne dove desidera in qualunque parte del mondo ma è anche molto di più di questo e al Nord dobbiamo preoccuparci principalmente proprio degli altri aspetti.

La ‘ndrangheta ha la capacità di stare ovunque si possono fare i soldi.

Le mafie sono al Nord non solo per la voglia di colonizzare i territori ma anche perché qui ci sono i soldi e le imprese che lavorano.

L’obiettivo della ‘ndrangheta, spesso, è proprio quello di entrare nelle imprese.

Ci sono inchieste che mostrano ‘ndranghetisti che sono entrati nei Consigli di Amministrazione di multinazionali importanti.

Molte inchieste lombarde sono partite dal fatto che la ‘ndrangheta è riuscita a controllare aziende che avevano la possibilità di ottenere appalti e, quindi, poi di subappaltare i lavori ad altre aziende di loro fiducia. Altri settore di infiltrazioni mafiose sono i “compro oro”, il gioco d’azzardo… ma in generale, ogni settore che si apre diventa terreno appetibile.

Quando dico che la lotta alle mafie è una priorità, dico che dobbiamo lottare per salvaguardare la nostra democrazia perché, nel momento in cui la nostra economia viene invasa e condizionata da questi poteri e da queste forze, che hanno obiettivi molto diversi da quelli della convivenza civile è un problema per tutti.

I mafiosi hanno una straordinaria capacità di mimetizzarsi, di non farsi vedere e hanno smesso anche di usare la violenza proprio per non suscitare allarme sociale.

Le mafie non allarmano ma noi dobbiamo raccontare cosa succede se una parte importante dell’economia sana viene gestita e governata da persone che appartengono ad un’organizzazione criminale.

Le inchieste mostrano che la ‘ndrangheta al Nord non è arrivata per riciclare il denaro e neanche solo per penetrare nell’economia legale ma ha voluto insediarsi nei territori, soprattutto nei Comuni più piccoli, in cui è più facile farsi accettare e condizionare l’ambiente e dove, anche alla presenza di alcuni segnali, per quieto vivere si preferisce far finta di niente.

Pochi anni fa c’è stato il primo Comune lombardo sciolto per mafia, che è Sedriano, in provincia di Milano e a me ha preoccupato molto l’assenza di reazione dei cittadini di fronte a questo.

Oppure, un altro caso eclatante è stato quello di Grande Aracri, che aveva arsenali di armi e aveva vinto una guerra di ‘ndrangheta uccidendo e vivendo di intimidazioni, e quando è stato arrestato a Brescello, in Emilia, anch’esso Comune sciolto per mafia, i cittadini erano increduli perché lo vedevano solo come un anziano che salutava tutti ed era amico del Sindaco.

La ‘ndrangheta vive sulla scommessa della possibilità di farsi accettare magari perché opera nella Sanità (che è un altro settore interessato dalle infiltrazioni mafiose perché dà appalti e perché fa acquisire prestigio sociale in quanto è un settore in cui si dovrebbe fare del bene agli altri), oppure negli uffici comunali in cui si distribuiscono i sussidi per le persone in difficoltà e si possono condizionare le scelte; oppure sta nell’omertà che in questi anni ha fatto sì che molti imprenditori si siano rivolti alla mafia per avere soldi e abbiano pagato quella richiesta cedendo l’azienda (perché le mafie non si accontentano della restituzione delle somme prestate) e non abbiamo sporto denuncia o addirittura abbiano negano l’accaduto anche di fronte all’evidenza.

Alcuni imprenditori sono stati condannati per associazione mafiosa perché anche con la presenza delle intercettazioni hanno negato i rapporti con la ‘ndrangheta e le intimidazioni subite.

Anche al Nord, dunque, c’è omertà.

Per questo è sempre utile parlare di questi temi.

Lo Stato sta combattendo le mafie e sta ottenendo anche risultati importati ma la magistratura e le forze dell’ordine non bastano: bisogna avere una percezione della pericolosità delle mafie e fare della lotta alle mafie una priorità.

La lotta alle mafie deve diventare una priorità per il Paese, per i cittadini.

Noi corriamo il rischio che la nostra economia venga condizionata da ingentissime risorse che arrivano dalla criminalità organizzata. È un rischio che abbiamo corso nel passato e forse Falcone e Borsellino sono morti anche per questo: avevano capito che i capitali delle mafie avrebbero potuto condizionare anche le economie del Nord.

La ‘ndrangheta c’è, è sui nostri territori e rischia di cambiare la qualità della nostra democrazia e della nostra convivenza.

Se riusciamo a informare e a spiegare i rischi che le mafie comportano, magari ci sarà un po’ più di attenzione e un po’ più di voglia di denunciare, si sarà più capaci di osservare e capire quali sono i segnali che fanno intuire che c’è qualcosa che non va ma, soprattutto, ci saranno le condizioni per dire che in questo Paese c’è una comunità grande che la mafia la rifiuta e la combatte.

 

 


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