Se ci fosse stato bisogno di una prova per convincerci che è stato bene convocare Cortona – e che, forse, non è stato un bene sospenderla così a lungo -, il pomeriggio di ieri e la giornata di oggi ce la stanno offrendo.

Tutte le forme collettive di partecipazione alla vita pubblica – i partiti, i sindacati, le associazioni, i movimenti – si alimentano del dibattito interno, del confronto, della passione intellettuale e politica.
Più che mai necessarie dopo la clamorosa batosta elettorale alle politiche, reiterata alle amministrative, ma preceduta e annunciata dalla sonora sconfitta al referendum costituzionale, che non ha però prodotto l’effetto di metterci, sin da allora, seriamente in allarme.
Innanzitutto sulle ragioni congiunturali di questi risultati negativi, a partire dal ruolo del leader e dal suo impatto col popolo, così trainante all’inizio, quanto altrettanto frenante da un certo punto in poi.

Questa breve stagione politica è nata su una forte domanda di novità, di cambiamento radicale – ben interpretati da una leadership giovane e dalla sua parola d’ordine “rottamazione” – di rottura col passato (che assomiglia molto a quello attuale!) che ha coagulato attorno a Renzi un largo consenso e che ha consentito al Partito democratico di fare cose buone nelle politiche di questi anni, come ha ricordato ieri Gentiloni, che non vanno lasciate cadere e che saranno rivalutate.
Ma, ci ha, anche, portato, tutti, a un eccesso di sicurezza, di disinvoltura, come l’abbaglio sul risultato ottenuto alle Europee o la sciagurata tesi che il 40% incassato al referendum era tutto “nostro”, per cui quella sconfitta si sarebbe trasformata in vittoria, portandoci, invece, alla gestione della campagna elettorale con l’elenco di cento punti, fitti fitti come un contratto commerciale, contro i quattro dei nostri avversari o alla formazione delle liste (sulla quale, per evidenti ragioni, evito di insistere).

È sulla natura di quel consenso, del consenso così come si forma in questa epoca storica, che dobbiamo indagare. Così rapido nel crescere e nel dissolversi, così radicale nelle domande e nel rifiuto di risposte parziali, graduali; così esasperato nelle paure e nelle rabbie e così bisognoso di sicurezze.
In questa rapidità del cambiamento, caratteristica della contemporaneità, c’è un aspetto positivo, che dobbiamo saper cogliere: la giusta tensione al mutamento continuo che obbliga a rivedere costantemente i propri modelli e programmi, in funzione delle esigenze mutevoli del cittadino-elettore. Ma vi è anche un limite: il consenso acritico assunto come parametro principale, quando non esclusivo, delle politiche. Come ha detto molto giustamente Cuperlo la responsabilità del politico non è ripetere a squarciagola quello che la gente dice, ma dire alla gente la verità è indicare rotte, strade da battere.
Il vuoto lasciato dalle ideologie novecentesche cadute in disuso viene riempito dai sondaggi e non, come ci ha, invece, esortato a fare Magatti, da un nuovo progetto di società che la faccia avanzare: “nel cammino della Storia”.

Ed è qui che le vittorie di Trump, Macron, Salvini e Di Maio, e delle nostre sconfitte si saldano con le cause profonde della crisi del riformismo e, diciamolo senza reticenze, della democrazia.
Perché proprio quelle grandi e gloriose ideologie del Novecento: liberale, socialista e quel mix di entrambe che ha dato vita alla alla dottrina sociale, mentre hanno egregiamente risposto alle domande delle “classi”, consentendo agli sfruttati e ai poveri di allora, di riscattarsi ed identificarsi, dando vita a nuove classi dirigenti, non hanno saputo (o, probabilmente, potuto) rispondere alle angosce dei “ceti” e degli emergenti e, di conseguenza, hanno lasciato  le persone sperdute, isolati i nuovi sfruttati e i nuovi e antichi poveri di oggi, relegati in periferie materiali e in quelle “periferie esistenziali” di cui parla Francesco.

Tradotto in economia: né il liberismo (economico e finanziario) né la socialdemocrazia né l’economia sociale di mercato hanno saputo dare una risposta alle irrisolte questioni della ricchezza e della povertà dei popoli ingigantite dalla globalizzazione, che ha ridotto la povertà assoluta e allargato le disuguaglianze.
Eppure viviamo nel mondo migliore mai vissuto nella storia umana.. mai come ora sono disponibili tante risorse, tanta tecnologia. Il che rende ancora più acuta la nostra responsabilità nel vivere il profondo cambiamento sociale e culturale che ha travolto i partiti tradizionali e il Pd.
Ma, in ciò, vi è del paradossale. Non stiamo parlando di un pezzo di antiquariato politico: il Partito democratico ha dieci anni di vita. Perché un partito “giovane”appare così vecchio da suscitare, addirittura, la esigenza di rottamarlo per dal vita a qualcosa di nuovo?
Perché, come per i sindacati e le associazioni d’impresa, il cambiamento è stato percepito forse, intuito, ma non colto appieno, sia quando bisognava seguirlo ed alimentarlo, come nel caso dei bisogni economi e sociali contro l’allargarsi delle disuguaglianze, sia quando bisognava contrastarlo, come nel caso di quell’individualismo, diventato la cifra del nostro tempo, di cui ci ha parlato ieri il direttore di Famiglia Cristiana o delle paure irrazionali quanto si vuole, ma alle quali vanno offerte valide alternative.

Molti si chiedono se quella che attanaglia il Pd è una crisi irreversibile, o esiste la possibilità di una nuova stagione.
La risposta a questo interrogativo cruciale, se scegliamo la seconda strada, non sta nel riproporre chirurgie plastiche o restyling che rievochino le vecchie amate… carrozzerie. Anche nel linguaggio. La stessa parola “sinistra” che citiamo costantemente, troppo spesso viene usata con ambiguità e anzichè offrire una prospettiva nuova, libera, finisce per evocare il passato. È stato fatto notare che, curiosamente, persino Veltroni, nel suo ottimo intervento dei giorni scorsi, ha detto 27 volte la parola sinistra e solo due la parola democratico
Serve qualcosa di più. Servono nuove prospettive politiche, radicali nei valori e riformiste nei programmi; nuovi volti e nuova organizzazione.
Ieri Magatti ci ha detto che siamo in pieno oceano, col mare in burrasca.
Serve, dunque, una buona imbarcazione, solida, capace di reggere le onde, flessibile per ammortizzare le sferzate del vento contrario. Il Pd attuale non lo è, ma il Pd lo può essere ancora , come lo fu il Pd del Lingotto.
Serve un equipaggio, ma, diciamocelo chiaro: dobbiamo prima di tutto cambiare noi, perchè noi siamo il Pd. Ma, come è stato detto, da soli non bastiamo. Vedute larghe e campo aperto è ció che ci serve.
Ma, soprattutto, serve una rotta, una strategia audace, coraggiosa, rivolta al futuro.
Europa, o meglio: Stati Uniti d’Europa! E, a tal proposito, pensiamo alle prossime Europee e immaginiamo una grande coalizione – più democratica che repubblicana – una sola grande lista che unisca insieme gli europeisti.
Accoglienza e sicurezza insieme, che vuol dire integrazione e gestione dei flussi legati alle crescenti domande di manodopera; Stato sociale fondato su progressività fiscale e uguaglianza, ovvero valorizzare i meriti e risolvere i bisogni; crescita economica rispettosa della qualità del vivere e della difesa del creato ieri si è parlato di “Produrre ambiente”; diritti personali in equilibrio coi doveri civici, troppo ignorati, e bene comune; collaborazione, non contrapposizione tra pubblico e privato (questo incredibile dibattito sulle privatizzazioni a prescindere sia per il si che per il no.); democrazia rappresentativa praticata non in modo elitario, ma come veicolo di partecipazione alla cittadinanza attiva.
Insomma: riformismo e solidarietà e democrazia economica, sono ancora obiettivi strategici per il Pd?
Io penso di sì e penso che a queso serva il Congresso e per questo va fatto al più presto possibile.

In definitiva, la vecchia barca, sia in legno o vetroresina, attrezzata certamente con gps e quanto altro necessario alla moderna navigazione o un nuovo scafo in titanio, necessitano, in ogni caso, di un comandante e di un equipaggio competente e sensibile e appassionato, ma che sappiano dove andare e navigare in acque agitate, come quelle attuali, e controcorrente. Soprattutto, oggi, controcorrente!