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Il razzismo non è una goliardata, ci ricorda Sant'Anna di Stazzema - dal blog di David Sassoli sull'Huffington Post

12 Agosto 2018

L'anniversario della strage di Sant'Anna di Stazzema è un giorno di lutto non solo italiano ma anche europeo che ogni anno offre nuovi spunti di riflessione per il contesto politico e culturale in cui si svolge.

Quando la memoria ci interroga pone sempre questioni attuali, che coinvolgono noi, il nostro tempo, le nostre difficoltà. Non riguarda solo quello che è stato. E mano a mano che il tempo scolora e allontana la rabbia è solo la lezione che ci consegnano fatti così atroci e disumani a depositare nella coscienza collettiva quegli anticorpi che possono far ripetere "Questo, mai più!".

La strage è figlia naturale della guerra. E la strage di civili è la modernizzazione della guerra. Questi possono essere due punti fermi da acquisire nella nostra riflessione.

Li ritroviamo puntualmente ad ogni passaggio drammatico e in ogni conflitto perché Sant'Anna di Stazzema si lega a Srebrenica, passa per il Rwanda e arriva fino a noi con una analoga metodologia . Il "delitto castale", come lo definiva Giuseppe Dossetti riferendosi a Marzabotto, non è terminato con la fine del III Reich e del fascismo e con l'arrivo della Liberazione.

In questo piccolo paese sono arrivati giovani massacratori di bimbi e di donne che solo qualche anno prima andavano al catechismo, avranno partecipato al Te Deum o erano discendenti di culture laiche e cosmopolite.

Quale impulso trascinante li ha fatti piombare a Sant'Anna e con metodicità sterminare un paese di povera gente, innocua e pacifica?

Dire follia significa non capire la natura di una sistematica preparazione dottrinaria. Cosa c'è di diverso dalle stragi nei villaggi della Siria, dello Yemen?

La guerra può occupare territori, ma può anche assolvere a un compito di annientamento etnico e razziale. Nell'età moderna era già avvenuto con le guerre di religione: l'eretico o l'infedele dovevano essere sterminati. La medesima impostazione la ritroviamo nelle guerre contemporanee. L'idolatria spinge all'annientamento. Lo testimonia la Shoah, ma non solo. Ne è la prova la guerra ai civili. Dalle guerre in stile napoleonico, con gli eserciti schierati, siamo tornati all'idea che il nemico è un essere inferiore. Annientamento e identità etnica sono le facce della stessa medaglia.

La disumanità, insegna Jacques Semelin, nasce in un momento preciso: la propaganda che ti fa credere che l'altro ti ucciderà fa dell'uomo un assassino.

La guerra contemporanea non si accontenta di spazi e risorse naturali, l'ideologia che la governa vuole cambiare l'uomo.

Quante analogie con l'attualità. Ed ecco perché i morti di Sant'Anna di Stazzema parlano ancora. Ecco perché guardare la storia con gli occhi delle vittime rompe lo schema assassino.

Ma siamo sicuri che riusciremo solo con la memoria ad esorcizzare la guerra e le sue atrocità? E quando saremo rimasti in pochi a ricordare, cosa accadrà?

Ci vuole memoria, ma anche udito. Sì, la memoria deve allenare l'udito per ascoltare i segni dei tempi, per cogliere quelle onde grandi e piccole che si muovono nel fondo delle nostre società e che emergendo possono provocare nuove tempeste.

Chi avrebbe pensato agli inizi del Novecento, vivendo nella Belle Epoque, che da lì a poco si sarebbe scatenata una guerra provocando fra i 15 e 17 milioni di morti? Chi avrebbe immaginato che la famiglia di un ufficiale italiano di religione ebraica che aveva combattuto con valore sul Carso sarebbe stata spedita a Dachau con la complicità del suo governo? Chi avrebbe pensato che l'area dell'Esposizione universale di Belgrado sarebbe diventata un campo di sterminio che avrebbe fatto proclamare al comando tedesco che la capitale serba era "Juden frei"?

Chi avrebbe creduto che uno scialbo pamphlet scritto da un caporale austriaco sarebbe diventata la nuova Bibbia per una generazione di tedeschi e non solo?

La sistematica preparazione dottrinaria si svolge sempre sotto le insegne di valori identitari e il nazionalismo ne è l'ambito naturale. Da idea di libertà, indipendenza e autonomia, il nazionalismo si è trasformato in una ideologia in grado di proteggere, stimolare istinti di sopraffazione, far prevalere connotati etnici che non fanno fatica a dichiararsi superiori e a rivelarsi razzisti. E il razzismo non è mai una goliardata.

Quando i militari tedeschi accompagnati dai fascisti italiani arrivarono a Sant'Anna di Stazzema e uccisero giovani, anziani, i bambini di qualche anno o di pochi mesi, nessun impedimento etico o morale, nessun richiamo all'onore intervenne a consigliare una umana pietà.

Se fosse soltanto questione militare non ci sarebbero state così tante Sant'Anna di Stazzema in tutta Europa. Non ci sarebbero stati Tradur, Marzabotto, Ascq, la risiera di San Saba, i campi di sterminio e di annientamento.

Per quei ragazzi cresciuti nell'idolatria nazista, quelle donne, quei bambini e quei ragazzi erano "fonti di vita impura". Da cosa altrimenti sarebbero stati trascinati a sterminare persone inermi se non dal desiderio di esaudire il loro "idolo muto", come lo definisce San Paolo?

Il nazionalismo che diventa ideologia e si fa idolatria è il virus che la memoria di questo giorno ci consegna.

Memoria e udito, dunque, perché il ricordo non contempli indifferenza ma si traduca in responsabilità e impegni.

Percepiamo che venti minacciosi si annunciano all'orizzonte, sommovimenti che possono condurre a considerare il conflitto come la misura per risolvere i contenziosi. Abbiamo il dovere di deviare questi venti se riteniamo che il ricordo delle vittime di Sant'Anna di Stazzema sia un valore da non tradire.

Le nostre Nazioni, nella collaborazione europea, possono dare ancora molto.

Non è un caso che i nostri vecchi, i padri fondatori della Repubblica, la generazione uscita dalla guerra abbiano indicato nella costruzione europea l'assicurazione per evitare che il passato non si ripeta.

L'Europa è l'orizzonte della vita dei nostri paesi. Da soli e divisi saremmo marginalizzati. Ma un'Europa unita, solidale, un'Europa dei diritti, un'Europa sociale è un riferimento anche per gli altri, utile ad umanizzare i processi di globalizzazione. L'Europa è una grande occasione per cambiare anche gli altri, e dare al mondo l'esempio che una tragedia come quella della guerra non è stata vissuta invano.

I nostri paesi, tutti, posseggono valori e know how, cultura e grandi tradizioni, ma fuori dal quadro europeo potrebbero far riemergere istinti e idoli che abbiamo ben conosciuto.

Gli stessi idoli che accompagnarono fin qui, all'alba del 12 agosto 1944, i tedeschi della a SS Panzergranadier Division "Reichsfürer", comandata dal generale Max Simon, e gli italiani della 36ª brigata "Mussolini", che in meno di mezza giornata uccisero 560 persone. Tra le vittime 130 bambini.

L'idolatria si è scatenata a Sant'Anna di Stazzema, ma anche a Forno dove SS tedesche e italiani della X Mas massacrarono 72 persone e altre 340 vennero trucidate fra Valla, Bardine e Vinca, nel comune di Fivizzano. E ancora 33 civili uccisi a Pioppeti di Montemagno, 108 a Mezzano, 72 a Bergiola per poi continuare a Marzabotto.

"Quando si dice che la storia è maestra di vita - avvertiva Gaetano Salvemini - si rischia di dire una grande banalità. La storia non ci dice cosa dobbiamo fare, ma solo da dove veniamo". E questo è molto utile per sapere cosa dobbiamo mettere a fuoco, quali istinti tenere a bada.

Siamo orgogliosi che nell'ottantantesimo anno dalla promulgazione delle ignobili leggi razziali in Italia, il nostro Presidente della Repubblica abbia nominato senatrice a vita la Signora Liliana Segre, superstite dei campi di sterminio. È stato un segno che ci ricorda quanto le nostre radici siano ancora legate alle cataste di cadaveri che il nazismo e il fascismo hanno ammassato lungo le strade d'Europa.

Ma se questo lo riteniamo utile per noi e per le generazioni future, allora non possiamo fermarci alla simbologia. Per questo oggi chiudere gli occhi davanti alle vittime delle altre guerre è una complicità, così come lo è non dare valore alle vittime, a tutte le vittime, a quelle della guerra o a quelle del mare.

Insegnare una paura disumanizzante porta sempre al peggio e abitua a non considerare il valore della persona come il bene da proteggere sempre e comunque.

La storia di Sant'Anna di Stazzema e delle altre stragi italiane ed europee continua a insegnare molto e a richiamarci a non considerare le grandi conquiste ottenute come un bene ricevuto una volta per sempre.

La democrazia è un sistema fragile e va protetto; le istituzioni nazionali ed europee sono spesso imperfette, ma non possono essere calpestate perché rappresentano comunque il grado di convivenza possibile. La politica non deve dimenticare mai che la democrazia conquistata dalla mitezza delle vittime è quella dell'art. 3 della nostra Costituzione, per cui "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Questa è l'Italia di Sant'Anna di Stazzema. E questi sono i valori che l'Europa non deve perdere.


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