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Fassino: i fatti hanno dato ragione a Marchionne

25 Luglio 2018

Mi diceva 'tranquillo, Mirafiori non la chiuderemo mai'



"Alla fine del 2004 mi telefonò John Elkann. Mi disse che era utile che conoscessi Sergio Marchionne, da poco alla Fiat. Andai al Lingotto". Piero Fassino, dal 2011 al 2016 sindaco di Torino, allora era segretario dei Ds. "Entrammo subito in empatia - spiega all'Ansa - mi piaceva la sua visione di respiro. Mi spiegò che la Fiat non poteva restare in quel modo, bisognava darle una nuova identità, cercare alleanze, ma senza farsi 'mangiare', senza sparire. Mi parlò anche dell'America come punto di vista privilegiato per guardare al mondo. Volle sapere della mia storia politica e del mio legame con la Fiat. Mi disse 'mi hanno raccontato episodi gustosi sul suo conto. Ho saputo che per anni era alle porte di Mirafiori per volantinare e parlare agli operai'". Negli anni successivi gli incontri sono stati periodici, "lontani dalle telecamere. Nessuno dei due - racconta - cercava pubblicità. Ci vedemmo anche nei giorni del referendum alla ex Bertone. Mi ero schierato per il sì, l'accordo era l'unico modo per ridare lavoro a centinaia di dipendenti da 6 anni in cassa integrazione e con la prospettiva della disoccupazione. Disse che apprezzava la mia posizione coraggiosa. Mi chiamò anche la sera del divorzio da Gm: 'abbiamo sciolto bene il nodo, ora siamo liberi'. E alla vigilia dell'accordo Chrysler: 'Ti ricordi cosa ti ho detto nel nostro primo incontro? E' quello che volevo: una fusione con un grande marchio che permetta alla Fiat di non perdere l'identità'. E quando era sindaco? "Ci siamo visti al Lingotto. A volte nel mio ufficio. Uno dei temi ricorrenti era il destino di Mirafiori per il valore simbolico che ha quello stabilimento. 'Tranquillo, mi diceva, non lo chiuderemo mai'. 'Bene, replicavo io, ma è importante che cosa ci farete dentro'. E quando stava per essere lanciato il suv Levante, volle che Renzi, Chiamparino e io andassimo a vedere la nuova linea per dimostrare che aveva mantenuto la parola. Lo vidi al Lingotto anche due giorni dopo le elezioni amministrative del 2016, in occasione di un evento dedicato alla Ferrari. 'Ma che è successo?' mi chiese. 'Il voto è andato così', gli risposi. 'Tranquillo, il tempo è galantuomo', mi disse mettendomi amichevolmente una mano sulla spalla". Che giudizio dà, Fassino, del manager e dell'uomo? "Era coraggioso, determinato, con una visione ampia e lunga. Obiettivi che potevano sembrare velleitari, si sono rivelati giusti. Fin dal primo momento ebbe chiaro che la Fiat da sola non aveva futuro. E con lucidità ha cercato un'alleanza che non fosse sudditanza. Ha unito due brutti anatroccoli facendone un cigno ed è nato un player globale, dimensione che Chrysler e Fiat da sole non avevano. Ma lo ricordo anche come un uomo curioso, ironico, aperto. Da lui imparavi sempre qualcosa". Marchionne ha diviso la Sinistra. La Fiom lo accusa di avere rilanciato la Fiat sulle spalle dei lavoratori: "Sì, ci sono stati momenti di scontro - osserva Fassino - anche duri. Lo muoveva la convinzione che per affermare l'azienda devi stare nelle dinamiche del mercato. E che per farcela tutti, anche il sindacato, devono innovare. Guardiamo la vicenda Bertone: dopo lo scontro è diventato lo stabilimento principale di Maserati, un punto di forza del gruppo, con un numero di occupati maggiore. I fatti hanno dato ragione a Marchionne". 

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