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Le domande che ci consegna questo esito elettorale - dal blog di Franco Mirabelli sull'Huffington Post

26 Marzo 2018


Di tutte le assemblee a cui ho partecipato in questi giorni mi hanno colpito la partecipazione di tante persone e la qualità del dibattito, la ricerca e la voglia di approfondire le ragioni della sconfitta, senza scorciatoie.

Purtroppo, non vedo tutto questo nella discussione che viene riportata dagli organi di stampa.

Quando ragioniamo sul risultato elettorale dobbiamo evitare che la discussione sia polarizzata tra chi spiega che la colpa della sconfitta è attribuibile a Renzi e chi, invece, spiega che è di coloro che hanno impedito a Renzi di lavorare in quanto in disaccordo con lui.

Penso, infatti, che questa non sia una discussione su un risultato elettorale negativo come tanti: purtroppo, questo risultato indica una difficoltà profonda di cui dobbiamo comprendere le ragioni, per ripartire da lì.

Sarebbe sbagliato banalizzare le ragioni di una sconfitta elettorale di queste dimensioni, cercare alibi o limitare la discussione a problemi di comunicazione e informazione (che pure ci sono stati).

Innanzitutto, sono convito che non sia stato ciò che abbiamo fatto il motivo su cui abbiamo preso o perso voti.

Non cedo all'idea che il Pd, con le riforme della legislatura appena conclusa, avrebbe favorito la precarizzazione e adesso arriverà il reddito di cittadinanza a risolvere problemi che non ci siamo posti. Oltretutto, l'ultima versione del reddito di cittadinanza è la somma di due cose che abbiamo fatto noi: il reddito di inclusione (magari con l'implementazione delle risorse a disposizione) e la NASPI (cioè la possibilità di dare una tutela a chiunque perda il lavoro, non solo ai dipendenti di aziende sopra ai 15 dipendenti, compresi i lavoratori autonomi e tutti quelli che non hanno mai avuto l'articolo 18).

Nel corso di questi anni, quindi, abbiamo fatto riforme importanti per l'Italia e non credo che i cittadini non ne siano a conoscenza. Oltretutto, chiunque andrà al governo non cancellerà le riforme che il Pd ha fatto.

Probabilmente, tra le ragioni che ci hanno portato a un esito elettorale così negativo ci sono state alcune sottovalutazioni rispetto a scelte intraprese che partono da lontano e che ci hanno allontanato da una parte del nostro popolo. Tra queste, il voto del Pd alla Legge Fornero durante il governo Monti, che era inevitabile ed è stato un gesto di responsabilità ma che, a mio avviso, ci ha portati a non riuscire a intercettare il voto per il cambiamento nel 2013 e alla "non vittoria".

Allo stesso modo l'aver fatto il governo Letta insieme a Berlusconi, che era imprescindibile vista la situazione di emergenza in cui si trovava ancora il Paese, ma che sicuramente ha pesato sul nostro elettorato.

Un'altra sottovalutazione riguarda ciò che è successo con il referendum costituzionale: in quella fase si è rotto un rapporto sentimentale con il Paese perché i cittadini hanno indicato che ci stavamo occupando di una cosa a cui attribuivamo tanta importanza (quale è la riforma delle istituzioni) mentre loro lamentavano altri problemi legati al sociale.

Accanto a questo c'è stata una narrazione in cui si sono enfatizzati tutti i dati positivi, che aveva un senso per ridare fiducia e speranza all'Italia che stava uscendo da una crisi difficile ma ha creato un cortocircuito con chi invece quei dati positivi non li percepiva nella propria vita quotidiana. Si è creato così uno scollamento.

Credo, inoltre, che tra le motivazioni per cui siamo passati dal 40% per voti alle scorse elezioni europee al 18% del 4 marzo ci sia il fatto che il Pd di Renzi nel 2014 aveva saputo interpretare una domanda di rottura con l'establishment, di antisistema, di cambiamento e svecchiamento che adesso ha trovato risposta nel Movimento 5 Stelle anche perché, nel frattempo, il Pd è stato percepito come l'establishment.

Indicativo di questo ragionamento è anche il fatto che la categoria che vota in prevalenza Pd è quella dei pensionati: tradotto, significa che il Partito Democratico rappresenta meglio coloro che in qualche modo sono dei garantiti.

Ovviamente, non possiamo non considerare lo scenario in cui tutto questo è avvenuto: negli ultimi anni, infatti, la sinistra ha perso ovunque nel mondo. Questo è avvenuto perché viviamo nella globalizzazione che, nella testa delle persone, significa incertezza e precarietà: sono venuti a mancare punti di riferimento vicini e si è creata l'idea che le grandi decisioni passino altrove.

A questo si è aggiunta la crisi economica che, in Italia, ha prodotto una diminuzione di due milioni e mezzo di posti di lavoro e una larga parte del ceto medio ha visto precipitare le proprie condizioni di vita per la prima volta dal dopoguerra. Ma anche dove le condizioni di vita delle singole persone sono positive, c'è un generale senso di incertezza e la percezione di non essere in grado di determinare il proprio futuro e quello dei propri figli.

In questo contesto sono cresciute le paure e le preoccupazioni: il disagio per l'immigrazione e il senso di insicurezza urbana sono tutti figli dell'idea che manchi qualcuno a proteggerci. La Lega e i sovranisti, rispetto a questo scenario, hanno risposto di voler tornare indietro agli Stati nazionali.

La sinistra, invece, non è riuscita a dare risposte e a mostrare di essere in grado di proteggere le persone: è mancata una prospettiva, un'idea di futuro e di società che fosse credibile e forte.

Uno scenario globale come questo, quindi, mostra chiaramente che non ha senso ridurre la discussione a Renzi e alla comunicazione: a sinistra non c'è stato nessuno capace di raccogliere consensi e lo dimostra il fallimento del progetto politico di Liberi e Uguali.

Quel progetto non aveva fondamento: non c'era una sinistra vasta che non si riconosceva in Renzi e che poteva essere attratta da un altro partito, perché oramai non c'è più nulla di stabile e non c'è più il voto ideologico.

Ora, quindi, c'è un centrosinistra da ricostruire e dobbiamo ricominciare a ragionare insieme agli altri. Dobbiamo essere disponibili ad aprire un confronto, senza però rinunciare a rivendicare il valore delle cose che abbiamo fatto in questi anni, perché lì c'è la nostra idea di politica e di Paese.

Una discussione a parte la merita il Mezzogiorno: non si può spiegare un risultato elettorale del Pd così negativo (come per esempio l'8% in Campania) in regioni dove il Pd governa, dicendo che siccome c'è molta disoccupazione, i cittadini vogliono il reddito di cittadinanza. Affermare questo è autoassolutorio.

Un dato elettorale così negativo significa che in quelle zone c'è un fallimento nostro: non abbiamo saputo mostrare che eravamo in grado di rompere con una politica dei capibastone e delle filiere, che è uguale a quella che facevano gli altri.

A Caserta, dove faccio il Commissario del PD, ci siamo battuti per due anni per cercare di costruire un Governo di centrosinistra in quell'area, dando l'idea di discontinuità rispetto al passato e mettendo al centro i cittadini e non gli interessi delle singole filiere, facendo vedere che si poteva operare con metodi diversi rispetto a una politica che sfrutta il fatto che in molte realtà rappresenta l'unico ascensore sociale.

Ma se alla fine, la risposta è che ci adattiamo sempre a ritornare sui capibastone e su quelle logiche perché sembrano essere più rassicuranti, si crea la ribellione nella popolazione. Ci sono iscritti al Pd che hanno scritto con sofferenza non sarebbero andati a votare perché i candidati nascevano da quelle logiche.

Per il futuro, quindi, penso che abbiamo bisogno di rifondare il Partito Democratico, come è stato indicato anche alla Direzione Nazionale, ripartendo dai territori e tornando sui territori insieme ai circoli. Dobbiamo cercare un rapporto diretto con i cittadini, ricominciare a fare delle campagne sui problemi concreti e intestarcele.

Avremo davanti dei passaggi difficili da affrontare, per questo penso che ci sia bisogno di rasserenare il clima e di ricreare l'unità interna. È chiaro che oggi le figure dei leader contano ancora molto ma adesso abbiamo bisogno di una fase che preveda il coinvolgimento di tutti e una maggiore collegialità; per questo abbiamo bisogno di andare all'Assemblea Nazionale per eleggere un Segretario, come prevede lo Statuto.

Al congresso non dovremo contarci ma discutere sulla linea politica per rispondere alle domande che ci ha consegnato questo risultato elettorale e questo richiede tempo e un percorso comune del partito.


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