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Pinotti: dimezziamo i soldati in Iraq e verranno ridotti pure in Afghanistan - intervista de la Repubblica

17 Dicembre 2017

La missione in Niger è il primo sviluppo di una concreta strategia di difesa europea. L’Africa è centrale per la nostra sicurezza, perché quello che accade lì mette in pericolo anche i nostri territori


La nuova missione in Africa, il dimezzamento del contingente in Iraq, la riduzione di quello in Afghanistan ma anche il progetto militare europeo. L’attività di governo di Roberta Pinotti, prima donna al vertice della Difesa, si avvia alla chiusura con un carico di impegni internazionali.

Il premier Gentiloni ha presentato la missione in Niger che sarà sottoposta al Parlamento nei prossimi giorni, come un impegno a difesa del nostro interesse nazionale. 
«Negli ultimi decenni le forze armate hanno condotto missioni importanti, che spesso vedevano prioritariamente la tutela di un interesse di sicurezzaglobale, senza riverberi immediatamente riferibili al nostro Paese. Poi negli scorsi anni ci siamo resi conto che proprio nel mare in cui siamo immersi sono aumentati gli elementi di instabilità e di pericolo. Il principio è che la Difesa deve intervenire su minacce che riguardano il Paese e credo che sia importante una ricollocazione delle missioni che vada a prevenire gli effetti più diretti nell’area che chiamiamo il “Mediterraneo allargato”. L’operazione in Niger è frutto di questa strategia, come lo sono la missione in Libano e quella per il contrasto dell’Isis in Iraq. Nel Sahel si sta costruendo una forza di cinque Paesi africani, sostenuta dall’Onu e dall’Unione europea, in un territorio fondamentale sia per proteggerci dal terrorismo sia per la lotta alla rete criminale che ha gestito l’immigrazione clandestina».

La missione in Niger è anche frutto di un accordo tra Italia-Francia-Germania. Sarà un prototipo sul campo di quella capacità autonoma di Difesa europea che lei è ha contribuito a imporre nell’agenda Ue?
«Sì, per l’Europa di oggi e per quella del futuro l’Africa rappresenta una sfida fondamentale. Bisogna aiutare a sanare le sacche di instabilità diffusa con un progetto che offra sviluppo, lavoro, cultura ma anche sicurezza. Nei colloqui con Francia e Germania è stata evidenziata la centralità dell’Africa per la nostra sicurezza, perché quello che rischia di accadere lì mette in pericolo anche i nostri territori. Per questo interpreto la missione in Sahel come il primo sviluppo di una concreta strategia di difesa europea».

In vista del nuovo intervento si ridurranno altre missioni?
«Con soddisfazione posso dire che uno degli obiettivi è stato raggiunto: l’Isis è stato sconfitto in Siria e in Iraq, Paese dove il nostro impegno è stato forte con circa 1500 militari. Lì andremo a dimezzare la nostra presenza, riducendo il contingente che coopera alla protezione della diga di Mosul. Manteniamo però l’impegno per l’addestramento di quelle forze soprattutto di polizia destinate a stabilizzare la situazione e proseguire la lotta al terrorismo».

E in Afghanistan?
«Bisogna premettere che da anni l’Italia ha preso la guida del Prt, ossia del centro che coordina la ricostruzione, di tutta l’area sud occidentale. Non possiamo abbandonarlo perché sarebbe una dimostrazione di scarsa responsabilità. Quindi continueremo a tenere quel comando ma abbiamo chiesto agli alleati di integrare i nostri soldati con unità di altre nazioni, in modo da ridurre i 900 militari presenti ora».

Il Libro Bianco da lei voluto ha ridefinito la nostra Difesa, puntando sull’integrazione tra forze armate per ridurre i costi e aumentare l’efficienza. Crede che la prossima legislatura ne completerà l’attuazione?
«Alcune delle riforme sono già state recepite. Proprio il nuovo concetto dell’area di interesse nazionale, i criteri nella formazione, nella sanità, nella integrazione operativa delle forze armate. Ma soprattutto il testo è diventato il riferimento nella vita quotidiana. Certo, è inevitabile che le idee nuove incontrino resistenze ma non ho dubbi sul fatto che verrà pienamente approvato. Perché si tratta di una riflessione a 360 gradi basata sulla forza della realtà, non sulle idee di un singolo partito o su una visione interessata».

Pensa che le spese militari e in particolare i costi dell’F35 torneranno al centro del dibattito elettorale?
«Nella scorsa campagna elettorale c’è stato un accanimento a destra e a sinistra contro l’F35, spesso con poca cognizione tecnica. Ma, trattandosi di un caccia e di un programma con costi rilevanti, si prestava a diventare un bersaglio simbolico: l’idea era che si potesse ottenere risorse togliendo fondi alla Difesa. Molti risparmi sono stati fatti negli scorsi anni ma ritengo che oggi ci si sia resi conto che non si possa più tagliare perché minacce e rischi che stiamo vivendo sono evidenti a tutti. E perché stiamo assumendo degli impegni nella Ue e nella Nato che richiedono responsabilità. Sull’obiettivo Nato del 2 per cento del Pil per le spese della Difesa sono stata sempre prudente e non ho mai battuto i pugni sul tavolo per avere mezzi che non fossero necessari: so che il Paese ha anche altre necessità e credo che bisogna rendere gli investimenti compatibili con le risorse. Spero quindi che la questione delle spese militari non venga usata come facile strumento per la ricerca del consenso».

Nel fare un bilancio della sua attività, quali sono le soddisfazioni maggiori? 
«La nascita di una Difesa europea, tema su cui mi sono spesa molto, e la creazione della nuova struttura Nato per il Sud, che avrà sede a Napoli. Ma soprattutto ho la percezione di un grande cambiamento che rende le forze armate più immerse nella società e più aperte. Un contributo viene dall’operazione “Strade sicure”, che ha avvicinato i militari al Paese: oggi vedere un militare con un fucile non incute più paura ai cittadini ma trasmette sicurezza».


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