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Democrazia senza partecipazione. Una riflessione su Ong e dintorni - dal blog del vicepresidente del Parlamento europeo David Sassoli su l'Huffington Post

13 Agosto 2017



C'è qualcosa di non detto nel dibattito sulle regole adottate dal governo sulle Ong. Qualcosa che va al di là delle polemiche sul decreto. Giusto o non giusto anche in questo caso la politica si è trovata nella posizione di "mettere in riga" un corpo intermedio. Non è la prima volta che accade. Anzi, questa tendenza accompagna da tempo le nostre democrazie e alle sfide della globalizzazione si risponde con sistemi politici meno disponibili al dialogo sociale. Vi è fastidio nei confronti di tutto quanto arricchisca, in termini di partecipazione, la dialettica democratica e il più delle volte autonomia e indipendenza vengono vissute come un intralcio.

La fatica della democrazia non è più considerata una virtù. Si dirà che i fatti impongono rapidità nelle decisioni, fatto sta che partecipazione e condivisione sono diventati connotati desueti. Se la nostra vita repubblicana ha funzionato per un cinquantennio per la vitalità dei corpi intermedi, oggi la spinta va nella direzione opposta, tanto da far immaginare un sistema politico lobbistico in cui la politica non compone interessi ma li rappresenta direttamente. Una evoluzione presente in tutti gli schieramenti, Pd compreso. Non di rado, infatti, si sostiene che gli interlocutori "sono le imprese e non la Confindustria, sono i lavoratori e non i sindacati".

La scena che si va prefigurando, insomma, è di forte discontinuità, produce giochi di potere per addetti ai lavori, incoraggia un sistema chiuso e taglia le gambe alla partecipazione. Inoltre, costringe all'autoreferenzialità il libero associazionismo e il movimento sindacale. Il tema riguarda la qualità della nostra vita democratica. Non si tratta certo di tornare al passato. Errori sono stati compiuti da tutti. Pensiamo a quanto cattivo sindacalismo abbia prodotto privilegi o partorito sigle ad uso e consumo dei promotori; a quante associazioni abbiano generato caste e corporativismi. Indietro non si deve tornare. Ma andare avanti non significa non aver cura di tutto quello che è bene stia nel mezzo fra la politica e la società. Senza partecipazione non vi saranno bacini a cui attingere per dare rappresentanza e qualità al sistema politico. Si fa strada una democrazia oligarchica dove chi è dentro è dentro, chi fuori è fuori.Ecco perché i partiti e i governi progressisti hanno una speciale responsabilità nel rispettare l'autonomia dei corpi intermedi. E questo anche a scapito di rallentare i processi decisionali: meglio una decisione condivisa, adottata con un ampio consenso, di una iniziativa assunta in solitudine e che si ritrova alla fin fin priva di una buona base di sostegno. La questione va oltre la vicenda delle Ong, e solo in parte la coinvolge.

La crisi delle strutture di intermediazioni viene da lontano, presenta aspetti molto complessi e interessa tutte le democrazie occidentali. Ambiti di riflessione sono fra i più diversi. Uno riguarda la pseudo democrazia diretta della rete, un altro l'insofferenza a qualsiasi forma di mediazione giornalistica, un altro ancora la rincorsa di umori che appaiono prevalenti perché si presume abbiano più audience. E ancora: l'insicurezza che coinvolge le classi dirigenti prigioniere di verifiche elettorali a ciclo continuo. Il cambiamento è radicale e il rischio è di sottrarre energie e risorse ad un processo partecipativo della cosa pubblica. Lo ha spiegato bene Romano Prodi nella prefazione al saggio "Corpi Intermedidi Gianni Bottalico e Vincenzo Satta: "I percorsi di carriera di coloro che sono chiamati ad esercitare funzioni pubbliche non vengono più alimentati dalle esperienze in questi corpi intermedi che sono in qualche modo lo stadio ove gli atleti devono allenarsi e mostrare le proprie capacità". Le leggi elettorali di nominati poi, fanno il resto e impongono una rappresentanza ad immagine e somiglianza delle leadership di turno. Come sempre tutto si tiene.



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