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Fassino: bene il confronto sull’Italicum ma la minoranza lasci cadere il No al referendum - intervista de l'Unità

13 Ottobre 2016


La vulgata racconta che chi è di sinistra sia per i No: che ne dice Piero Fassino?

 

«Non è vero, ci sono tante donne e tanti uomini che come me sono nati e cresciuti politicamente nella sinistra, nei Ds, nel Pds, nel Pci che sostengono convintamente la ragioni del Sì alla riforma perché è coerente con le proposte che da anni la sinistra avanza in tema di riforme istituzionali: i punti principali di innovazione che vengono introdotti sono tutti nella nostra storia».

 

Lei quindi direbbe che è una riforma di sinistra?

 

Certo. Prendiamo il superamento del bicameralismo paritario a vantaggio di un bicameralismo differenziato: è una proposta che è nata e cresciuta nella sinistra ed era uno dei punti qualificanti del programma dell’Ulivo con cui Prodi vinse nel 1996. Il superamento delle province era addirittura nel programma del governo di unità nazionale del 1976. La stessa revisione del Titolo V per avere
competenze più chiare e quindi rapporti meno conflittuali fra Stato centrale e Regioni è una richiesta storica dei nostri presidenti di Regioni. E lo statuto delle opposizioni non è una richiesta che da anni fa la sinistra? Vogliamo parlare delle innovazioni? Il referendum propositivo che s’affianca a quello abrogativo non è uno strumento di democrazia in più? Le leggi di iniziativa popolare che non saranno più destinate a essere dimenticate in qualche cassetto del Parlamento ma dovranno essere necessariamente discusse dai parlamentari è o no un passo in avanti perla partecipazione dei cittadini? Per me la risposta è sì. Come vede queste riforme stanno nella nostra storia, sono figlie della nostra cultura».

 

E allora come si spiega che un pezzo della sinistra sia intenzionata a votare no?

 

«E infatti chi dice di votare no è obbligato a spostare l’oggetto del contendere. Non più la riforma costituzionale che come s’è visto contiene riforme che da anni la sinistra chiede e infatti dicono di condividere, ma la legge elettorale. Con una torsione che di fatto cambia l’oggetto del referendum. Ma anche questo è un errore».

 

Perché?

 

«Perché viene detto che l`Italicum accentua troppo il fattore maggioritario. Vorrei far notare che dal 1993 a oggi sono state introdotte tutte leggi elettorali maggioritarie, alcune delle quali con un effetto maggioritario assai più elevato dell’Italicum. Quella per i sindaci assegna al sindaco che vince il 60% dei seggi. Grazie al Porcellum con meno del 30% dei voti Pd e Sel hanno avuto il 55% dei seggi alla Camera. Nell’Italicum l’effetto maggioritario è più contenuto: il premio scatta se raggiungi il 40% dei voti, altrimenti vai al secondo turno e devi ottenere il 50% più uno dei voti. Se poi c’è il problema dei capilista bloccati affrontiamolo, e se si vogliono i senatori eletti direttamente, va bene. Anche se poi ci sarà da capire quale legame avranno con i territori che dovranno rappresentare nel nuovo Senato. Cioè la disponibilità a discutere è piena e reale. Renzi anche l’altro giorno in direzione è stato chiaro».

 

C’è chi non si fida.

 

«Questo proprio non lo capisco. Se un segretario di partito, comunque si chiami, davanti alla direzione e a qualche migliaia di persone, che l’hanno seguita in streaming, si prende un impegno come s’è preso Renzi, c’è da crederci, punto. Non potrà mai smentirsi una volta fatto il referendum».

 

Ieri la minoranza ha indicato Cuperlo nel gruppo di lavoro che dovrà occuparsi di trovare un accordo sull’Italicum. Lei ritiene che sia possibile arrivare a una sintesi unitaria?

 

«Melo auguro. Giusto iniziare subito un percorso comune per la nuova legge elettorale per il Senato e per la correzione dell’Italicum, ma con l’avvertenza che non potrà concludersi prima del 4 dicembre e non perché non lo voglia Renzi, ma perché le altre forze politiche ci hanno già detto che non vogliono discuterne prima del referendum. È in ogni caso importante che il confronto si avvii prima del referendum a dimostrazione della reale volontà di correggere l’Italicum, in cambio la minoranza lasci cadere il no al referendum e battiamoci tutti insieme come Pd per far vincere il Sì. Perché soltanto se vincerà il sì il 4 dicembre la legge elettorale sarà modificabile. Se vincerà il no l’unico sbocco sarà il proporzionale puro».

 

D`Alema però sostiene che se vince il No si aprirà una fase politica più avanzata e quindi si potranno fare riforme istituzionali migliori.

 

«È una illusione. Dopo che hai chiesto a milioni di italiani di votare No, in campo ci sarà il no alle riforme. È proprio una questione che riguarda il rapporto coi cittadini, il referendum è uno strumento di democrazia diretta, bisogna essere seri. Una volta che abbia vinto il no hai chiuso un percorso e per riaprirlo dovrai aspettare un bel po` di tempo».

 

L’obiezione di fondo del No è essenzialmente che la riforma costituzionale abbinata all’Italicum produce un effetto di rafforzamento oggettivo dell’esecutivo a scapito della rappresentanza e quindi del Parlamento.

 

«Non è così perché la riforma non modifica i poteri del Presidente del Consiglio che rimangono quelli di oggi e conferma gli attuali poteri del Presidente della Repubblica, non solo ma alzando il quorum al 60% impedisce che una maggioranza di governo si elegga da solo il Capo dello Stato».

 

Dunque la distinzione fondamentale è: chi vota Sì immagina un sistema politico istituzionale fondato sull’alternanza di governo decisa dai cittadini, chi vota No invece un sistema in cui il governo si forma dopo in base ai rapporti di forza parlamentare?

 

«Sì è così, chi vota No spinge per un sistema consociativo che obbliga quasi sicuramente a governi di larghe intese. Ma bisognerebbe avere un po` di memoria. Io ho fatto il segretario dei Ds e ricordo bene il governo dell`Unione del 2006 che si poggiava su una maggioranza che fra partiti grandi, partiti medi, partiti piccoli e partiti coriandoli era arrivata a 24 gruppi parlamentari e quindi con una capacità di coesione davvero problematica. Il punto essenziale è che chi vince abbia la maggioranza dei seggi per poter governare in maniera stabile. Altrimenti altre soluzioni, come ad esempio il Mattarellum 2.0 o simili, comportano la necessità di governi di coalizione perché chi vince ha una maggioranza relativa e quindi deve cercare in Parlamento alleati per poter governare. Siamo sicuri che molti di quelli che votano No siano favorevoli a governi di coalizione?».

 

Bersani al nostro direttore Staino ha motivato il proprio No al referendum con la volontà di bloccare la crescente deriva di destra.

 

«L’ondata populista è un pericolo vero, ma non lo si sconfigge arroccandosi, ma mettendo in campo riforme che cambino il sistema politico perché l’onda populista e di destra ha una delle sue ragioni nella caduta di credibilità della politica. Devo insomma riformare il sistema politico per rispondere alle domande dei cittadini è così che tolgo acqua e spazio al populismo».

 

Lei teme una scissione nel Pd?

 

«No, perché non credo che nella minoranza i sia questa volontà. E no perché in ogni caso non ci sarebbe spazio politico per una tale formazione, gli elettori di centrosinistra non capirebbero mai una separazione».


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